Cala in Italia la fiducia di imprese e famiglie – certifica l’Istat -, mentre la politica è alle prese con una campagna elettorale dai toni surreali dove per apparire credibili i partiti e i loro somiglianti s’impegnano a seguire più o meno pedissequamente l’agenda Draghi. L’agenda, cioè, del presidente del Consiglio di fatto sfiduciato e mandato a casa con qualche mese di anticipo sulla fine naturale del suo mandato.
La ragione è molto semplice perché mai come in questa stagione balorda le cose da fare per tenere in piedi il Paese sono scolpite nella pietra del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e incardinate a Bruxelles. Dunque, almeno a parole avanti tutta con le azioni e le riforme che sono alla base del forte finanziamento ricevuto dall’Europa con il beneplacito (anche se condizionato) di tutti i partner.
Ma c’è sempre un ma a complicare le faccende. Anche se nessuno dei giocatori in campo mette in discussione le regole del gioco e tutti sanno o fingono di sapere che il Paese va modernizzato da cima a fondo, sul modo di raggiungere l’obiettivo si misurano notevoli differenze. Che non sono solo quelle degli schieramenti contrapposti, perché il vero discrimine è di carattere eminentemente culturale.
Qui si ripropone l’antica partita tra voglia di garanzia e desiderio di libertà. L’esito del confronto, il bilanciamento nel sistema tra le due pulsioni, sarà fondamentale per capire che tipo di società vogliamo costruire. A quale modello vorremo affidare il futuro dei nostri giovani, presenti in ogni discorso accorato che si rispetti e poi abbandonati a un destino d’insoddisfazione in casa o emigrazione.
La differenza tra le due opzioni è netta. Da una parte l’offerta di bonus, prebende, sussidi, aiutini e altra mercanzia del genere; dall’altra la messa a punto di strumenti utili a promuovere formazione e preparazione, contribuire a vario titolo al successo delle imprese, dotare di competenze la Pubblica amministrazione, investire con successo, creare ricchezza e posti di lavoro qualificati.
La pulsione verso la garanzia rappresenta la scorciatoia. È più facile e immediatamente spendibile nelle urne elargire regali a spese della collettività che mettere a disposizione della comunità gli attrezzi per il suo sostentamento. La pandemia prima e la guerra poi hanno radicato questa tendenza per soddisfare la forte domanda di assistenza che si è sollevata, in via giustificata o meno, da ogni dove.
Si spiega anche così, soprattutto così, l’elevato ammontare del nostro debito pubblico – una vera e propria palla al piede sul cammino della crescita -, tra i più alti al mondo in relazione ai beni e ai servizi prodotti. Concedi oggi, concedi domani, non solo mini la robustezza dello Stato, ma allevi una popolazione che si abitua a chiedere sostegno in ogni circostanza e per ogni evenienza.
Questa deriva, che è anche la ragione per la quale i mercati ci guardano con sospetto, ci porta sempre più lontano dall’altra sponda. Quella della libertà e della responsabilità. Qui è forte il sentimento di chi vorrebbe essere artefice del proprio destino e chiede dunque all’autorità pubblica regole e mezzi per poter misurare la propria capacità e ricevere compensi sulla base dei risultati conseguiti.
La domanda, in questo caso, è di buon governo: al centro come in periferia dove quasi sempre si spegne qualsiasi spinta al cambiamento. L’esperienza di tutti i giorni insegna che l’ingegno, la voglia di fare, l’intraprendenza che a parole si elogia subiscono regolari docce fredde da parte di una burocrazia piccola piccola che raggiunge il suo apice di inefficienza cattiveria e autoreferenzialità nella giustizia.
Si fronteggiano quindi visioni della vita e dell’impegno civile diametralmente opposte. Sudditi contro cittadini. I primi confortati dalla certezza che chi non fa non sbaglia, i secondi esposti ai colpi dell’invidia e dell’ignoranza. Sarebbe interessante apprendere in quale tipo di società cala la fiducia: se in quella che offre garanzie o in quella che promette libertà. O in tutte e due.
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