Dall’invasione della Russia in Ucraina la sicurezza energetica europea è diventata un elemento di discussione quotidiano. Fino all’inizio dell’autunno la questione è rimasta confinata agli sforzi europei per sostituire il principale fornitore di gas. Nelle ultime settimane la vicenda si è arricchita di molteplici eventi.



Prima è saltato in aria il gasdotto Nord Stream 2 che avrebbe raddoppiato i flussi di gas dalla Russia alla Germania; lo scoppio rende molto più difficile qualsiasi ripensamento europeo e tedesco alle sanzioni. Segnaliamo che il Canada ha recentemente reintrodotto il divieto all’esportazioni di alcune componenti fondamentali per il funzionamento del gasdotto dando il via a qualche speculazione sulle reali condizioni dell’infrastruttura. In ogni caso l’Europa perde una via possibile, se non politicamente almeno “fisicamente”, per l’importazione di gas.



Alcuni guasti hanno interrotto le esportazioni di petrolio dal Kazakistan, dove si trova una dei più grandi giacimenti di petrolio dell’Eni, per qualche settimana dopo l’estate. Anche dalla Libia il flusso di gas si è ridotto. Il Paese mediterraneo, una volta pienamente inserito nella sfera italiana, oggi vede la presenza massiccia dei turchi. Pochi giorni fa si è verificata un’esplosione al gasdotto che dalla Russia porta gas in Ucraina. Da meno di un mese si è bloccata, sempre per un guasto, una delle principali infrastrutture energetiche americane e cioè l’oleodotto “Keystone” che porta petrolio da nord, dal Canada, verso sud. È un problema che sicuramente limita la flessibilità americana in termini di esportazioni. L’America è un Paese che vive di trasporto su gomma e in questo momento alle prese con un’inflazione vicina alle due cifre. Qualsiasi dilemma tra esportazioni e stabilità interna verrebbe risolto a favore della seconda.



L’Europa ha tutto da perdere in uno scenario in cui i mercati energetici globali si rompono: è una regione fortemente industrializzata che ha bisogno di energia abbondante e a basso costo e non ha risorse proprie se non lo sviluppo ossessivo di un’alternativa costosa e instabile come le rinnovabili. Proprio in questo scenario dove si susseguono incidenti e problemi tecnici l’Europa si trova alle prese con un’antipatica crisi politica con il Qatar che si candida a essere uno dei sostituti della Russia.

È inevitabile chiedersi se questa lunga serie di sfortunate coincidenze sia frutto del caso o meno; tanto più se l’elenco si dovesse allungare. L’unica certezza è che nessuno è tanto debole e ha tanto da perdere come l’Europa. La domanda non può che essere: cui prodest? Si può anche decidere che sia una domanda mal posta e che non ci sia niente di più di quello che si vede. Farsela ha comunque un’utilità perché l’Europa deve fare i conti con la fragilità e l’instabilità delle sue catene di fornitura energetica da cui dipende molto più che la sua “economia” e cioè la pace sociale e il suo sistema liberale.

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