“Non ci sono più i tedeschi di una volta”: questo il titolo di un mio articolo del luglio 2017. Evidenziavo le difficoltà di una nazione la cui immagine fatta di precisione, correttezza, professionalità si stava sbiadendo velocemente. Tre gli esempi: il Dieselgate, le difficoltà della Deutsche Bank, la telenovela dell’aeroporto di Berlino.
Il caso Dieselgate era stato forse il più eclatante. La notizia che la Volkswagen taroccasse il dispositivo dei gas di scarico delle sue autovetture negli Usa aveva destato sorpresa. Ma come, i precisini che si mettono lì a falsificare il software per poter superare le prove degli americani? Non esiste. Invece sì. Lo hanno fatto. E si beccarono anche una bella multa.
Che dire poi della Deutsche Bank? Ma non era forse una delle più solide banche al mondo? Il baluardo dell’economia tedesca? Il modello di riferimento per l’Europa?
Con in pancia titoli derivati per 54.700 miliardi di euro, pari a 20 volte il Pil e a quasi 6 volte quello dell’Eurozona, l’istituto era in grave crisi. Il Fmi (Fondo monetario internazionale) aveva descritto Deutsche Bank come l’istituto più rischioso al mondo. Nel 2015 l’istituto tedesco aveva chiuso il bilancio con una perdita di 6,8 miliardi di euro e sui conti continuavano a gravare le gigantesche spese legali a seguito del suo coinvolgimento in alcune operazioni illecite come la manipolazione dell’indice Libor o del mercato dei metalli preziosi. Non so se negli ultimi anni la situazione sia cambiata, ma rimane l’onta di una banca, ai tempi, molto vicina al default.
Vogliamo parlare poi dell’aeroporto di Berlino? Una barzelletta, altro che la Salerno-Reggio Calabria. Concepito nel 1995 per dare alla capitale tedesca uno scalo degno di questo nome, il progetto iniziale contava di porre la prima pietra nel 2006, con un costo di 1,5 miliardi di euro e con la data di fine lavori fissata il 30 ottobre 2011. Ma dopo due anni di lavori arrivano i primi stop e l’apertura viene rinviata a una data non ben specificata nel 2012. A questo punto ci siamo, tutto è pronto per l’apertura, viene programmato lo spostamento delle compagnie aeree nel nuovo hub, i biglietti cominciano a essere venduti e si progetta un grande evento per seguire il battesimo della nuova aerostazione. Negozi appaltati, lavoratori assunti, tutto arredato e tutto pronto per partire. Ma manca la certificazione antincendio necessaria per rispettare gli standard internazionali, ed è così che inizia una vicenda tragicomica.
L’8 maggio 2012, a soli 26 giorni dall’inaugurazione, si scopre un tragico errore nella costruzione del sistema di aspirazione dei fumi, una falla nel sistema antincendio e nella cablatura dei cavi. Il problema inizia a ingigantirsi giorno dopo giorno e a breve emergerà che nell’aeroporto ci sono ben 66.500 errori di costruzione. I lavori devono quasi ricominciare da capo e, nel 2013, solo il 4% della struttura è completata e a norma. La riprogettazione degli impianti fa lievitare i costi a 2,5 miliardi di euro e quando, per l’ennesima volta, tutto sembra procedere per il meglio, una nuova grana cade sullo scalo: c’è stato un errore nel disegno del tetto, è a rischio crollo. Stop ai lavori, terminal evacuato. Solo nel novembre del 2020 l’aeroporto verrà aperto. Venticinque anni dalla progettazione all’apertura: un record!
“Casi isolati”: commentò qualcuno. Neanche per sogno. Il problema era ed è sistemico. L’ultimo dato che lo certifica è quello della produzione industriale di novembre: -0,7% su base mensile che concorre a un -4,8% su base annuale, un disastro. Di più: l’economia tedesca ha iniziato il 2023 con un calo del Pil dello 0,1%, dopo il -0,4% a fine 2022. Nel secondo trimestre è rimasta stagnante: sta dunque subendo la seconda recessione in tre anni (dopo quella nel 2020) e il Pil supera il livello pre-pandemia solo dello 0,2%. Così le organizzazioni internazionali hanno tagliato le stime sulla crescita della Germania, seguite dall’Istituto tedesco Ifo. Nel 2024, non più una crescita economica del 4%, ma solo dello 0,9%.
Il contesto lo ha spiegato bene Mauro Bottarelli su queste pagine: “Il Governo Scholz non cede. Dopo aver gonfiato debito e deficit in ossequio alla campagna di Russia, ora pensa di pulirsi la coscienza dagli aloni di Weimar tagliando la goccia nell’oceano degli sgravi sul diesel agricolo. Chiaramente, soppesando col bilancio l’orientamento medio di quell’elettorato. Conservatore. E soprattutto drasticamente contrario a ogni implementazione dell’agenda di transizione green che, di fatto, è l’unico collante che ancora tiene insieme l’Esecutivo. Staccata la spina da parte dei Verdi, salta il banco”. Gli ex primi della classe hanno consegnato il compito. Ma è pieno di errori e strafalcioni. La bocciatura appare vicina.
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