L’amministratore delegato di Lufthansa, Carsten Spohr, lunedì ha dichiarato che per sostituire il cherosene dell’aviolinea tedesca con un e-fuel, un equivalente green, servirebbe la metà dell’energia elettrica prodotta in Germania. Il manager ha poi aggiunto ironicamente di dubitare che il signor Habeck, il ministro dell’Economia tedesco, abbia intenzione di acconsentire alla richiesta. La produzione di idrogeno verde tramite elettrolisi che evita di ricorrere, come accade oggi, a fonti fossili (carbone in Cina e gas e petrolio nel resto del mondo) è un processo estremamente energivoro. Un report pubblicato nel 2019 dall’Agenzia internazionale dell’energia stimava che per sostituire la produzione globale di idrogeno, che oggi non viene impiegato per la produzione di e-fuel, non basterebbe l’intera produzione elettrica di tutta l’Europa.
A oggi l’unica deroga concessa dall’Unione europea per salvare i motori termici è appunto il ricorso agli e-fuel. Il calcolo dell’ad di Lufthansa dà la dimensione di quale sia la distanza che corre tra i programmi di decarbonizzazione e la realtà. La Commissione europea ha disposto che il 2% dei combustibili per aerei siano “green” entro il 2025; questa percentuale sale progressivamente al 6% nel 2030, al 20% nel 2035 per arrivare al 70% al 2050. Nella realtà fisica anche il primo scalino, apparentemente innocuo, ha un impatto notevole sui mercati energetici europei.
Le osservazioni di Lufthansa si inseriscono in un quadro in mutamento. Settimana scorsa l’Inghilterra ha deciso di posticipare la data della messa al bando dei motori termici. Il Primo ministro inglese ha dichiarato che “per troppi anni i politici al governo di ogni colore non sono stati onesti riguardo ai costi” (della transizione energetica). Ieri, per arrivare al micro, Lego ha fermato il progetto per produrre i mattoncini da bottiglie di plastica usate perché arrivata alla conclusione che abbandonare la plastica tradizionale, un derivato del petrolio, avrebbe generato più emissioni. Venerdì, passando alla finanza, è stata Jp Morgan a invocare maggiori investimenti in petrolio e gas per scongiurare crisi energetiche.
In questo clima dichiarazioni come quelle di Lufthansa sembrano destinate a moltiplicarsi. Il dato politico è innanzitutto il riconoscimento che le promesse di transizione energetica a costo zero erano sbagliate. In secondo luogo, l’ammissione che i costi comporterebbero un cambiamento radicale degli stili di vita e dei consumi minacciando crescita e sopravvivenza dei sistemi industriali. I Paesi in via di sviluppo non hanno nessuna intenzione di seguire l’Europa sulla strada della transizione e di rischiare di perdere l’opportunità di raggiungere un benessere diffuso.
A tirarsi fuori dai ritmi imposti in Europa è anche un numero crescente di Paesi e di settori nei “Paesi sviluppati”. Di fronte ai costi politici e sociali della rivoluzione prevale il realismo e il buon senso. La particolare struttura politica europea, la distanza tra elettori e governo, rischia di prolungare il sogno green europeo mentre gli altri si fermano di fronte all’abisso anche per sopravvivenza politica. I conti di Lufthansa possono tornare a patto di imporre uno stravolgimento delle abitudini e dei consumi delle famiglie europee che fuori da questo continente sembrano politicamente impossibili.
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