La risoluzione promossa dai Democrat alla Camera statunitense per limitare i poteri del presidente Trump in caso di guerra con l’Iran è istruttiva sul momento delle democrazie nel mondo: non da ultimo in Italia, dove il Parlamento si accinge a votare contro il leader della Lega, Matteo Salvini, sul caso Gregoretti.

Ciò che accomuna le due vicende è il sospetto/accusa di “abuso di potere” scagliato sia contro il presidente americano sia contro l’ex ministro dell’Interno italiano da parte di avversari decisi a contrastarne il successo politico per via giudiziaria.



Riepilogare in dettaglio i due casi è forse superfluo. Il primo è ancora cronaca: l’ultima di una quarantennale storia di guerra nel Golfo Persico, aperta da un assalto all’ambasciata Usa di Teheran e chiuso (per ora) da un attacco all’ambasciata Usa di Baghdad. Trump ha confermato che l’eliminazione ritorsiva del capo miliziano Soleimani nella capitale irachena è stata legata al timore di un’escalation del terrorismo iraniano contro i cittadini Usa. Ma questo non ha trattenuto la Speaker dem Nancy Pelosi dall’usare (o forse abusare di) temi strategici per la sicurezza nazionale e strumenti delicati della democrazia istituzionale per una spregiudicata schermaglia pre-elettorale contro il presidente.



Nel frattempo la stessa Pelosi è sospettata di abuso di potere contro lo stesso Trump nella vicenda – di per sé molto dibattuta sul piano politico e costituzionale – dell’impeachment per il cosiddetto Ucrainagate, approvato per ora solo alla Camera. La procedura non è ancora approdata al Senato (a maggioranza repubblicana) per il via libera finale, perché Pelosi sta tenendo fermo il dossier sulla sua scrivania: con una discrezionalità istituzionale contestata da numerosi giuristi statunitensi.

L’obiettivo evidente della leader dem è quello di manovrare le procedure del Congresso per condizionare la campagna presidenziale 2020: non solo in campo repubblicano (dove la ricandidatura di Trump è quasi scontata, almeno sul piano politico), ma anche in quello del suo stesso partito. Nell’Ucrainagate (già un ripiego forzato rispetto al tentativo di mettere sotto accusa il presidente per un “Russiagate”) sono infatti emerse attività sospette del figlio di Joe Biden, ex vicepresidente di Barack Obama e ora candidato dell’establishment di partito per la Casa Bianca.



In Italia, intanto, il Parlamento dovrebbe votare il 20 gennaio l’autorizzazione a procedere contro Salvini. Lo scorso luglio l’allora ministro dell’Interno era finito sotto inchiesta per sequestro di persona e abuso di potere da parte della Procura di Catania (anche sulla base di un esposto di Legambiente Sicilia) per aver negato per giorni lo sbarco di 116 migranti raccolti da una nave della Marina militare, trasbordati anche da una nave di una Ong tedesca. Era trascorso un mese dal caso della “capitana Carola”: che – su decisione dei magistrati di Agrigento – è tornata subito libera in Germania (querelando il vicepremier italiano) dopo aver violato i confini marittimi con la tedesca Sea Watch 3 e speronato una motovedetta militare a Lampedusa. Nel caso Gregoretti, Salvini ha sempre affermato di aver ordinato di trattenere i migranti a bordo della Gregoretti (attraccata al molo Nato di Augusta, non al largo) perché tardavano le risposte di altri Paesi Ue disponibili ad accogliere pro-quota i migranti, secondo gli accordi di Dublino.

Il 21 settembre – a ribaltone di governo avvenuto – la Procura di Catania ha comunque trasmesso il fascicolo al Tribunale dei ministri con richiesta di archiviazione. Poco prima di Natale, invece, il Tribunale siciliano ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione a procedere contro Salvini. Nel frattempo – secondo quanto affermato senza smentite dal giornalista Marcello Sorgi – a fine ottobre il governo Conte-2 ha fatto attendere per otto giorni al largo di Taranto la nave Alan Kurdi carica di migranti al fine di non turbare gli ultimi giorni della campagna elettorale per le regionali in Umbria, poi stravinte dal centrodestra. E questo è avvenuto nel sostanziale silenzio dei precedenti contestatori di Salvini e dei suoi decreti (peraltro non ancora aboliti) e senza iniziative da parte di alcuna Procura.

Ora – in attesa del voto regionale in Emilia-Romagna (fissato all’ultimo giorno utile dalla giunta uscente di centrosinistra) – la maggioranza di governo giallo-rossa vorrebbe spostare la decisione su Salvini a dopo il 26 gennaio. Come ha notato un commentatore come Stefano Folli, “se il centrosinistra fosse sicuro delle sue ragioni non avrebbe motivo di attendere. Se invece sa di perseguire una forzatura per motivi politici, ecco che esita per non regalare a Salvini la più efficace tribuna del vittimismo a pochi giorni dalle elezioni in una regione-chiave”.

Pochi intanto dubitano degli obiettivi strategici dell’operazione Gregoretti: concretizzare l’eliminazione di Salvini dalla scena politica (attraverso le cause di ineleggibilità previste dalla legge Severino) e difendere l’egemonia giudiziaria nella vita democratica italiana, minacciata dalla crisi via via aggravatisi in seno alla magistratura.

Nel frattempo non sono pochi a interrogarsi sulla rapidità della de-escalation fra Usa e Iran: almeno in apparenza, nell’immediato. Forse non è stato estraneo – da parte di Teheran – il timore che il mantenimento della tensione in Medio Oriente potesse influenzare in modo sgradito il voto anticipato in Israele, previsto per il 5 marzo. Di fatto si annuncia un referendum sul premier Bibi Netanyahu, che da metà dicembre è anche lui sotto impeachment a Gerusalemme. Anche per sospetto abuso di potere.