Passata la buriana della campagna elettorale per le elezioni europee, conclusesi in fondo come previsto con un largo successo della Lega, non è passata però la tempesta politica. Proprio il fatto che il successo del partito di Salvini fosse previsto ha portato i suoi avversari, in Italia e in Europa, a prepararsi adeguatamente per i giorni successivi. E così, a urne appena chiuse, già circolava la notizia della lettera della Commissione Ue al Governo per richiedere delucidazioni, preparando la strada per la notifica di infrazione e per le successive conseguenze (multa, rialzo dell’Iva, ecc.). Una lettera che ha un aspetto scioccante. Mi riferisco alla scadenza delle 48 ore per rispondere. Fra chi collabora non si danno scadenze. Nei rapporti commerciali si danno e concordano scadenze, in genere molto ampie in modo che nessuno di trovi in difficoltà. Scadenze di pochi giorni, misurabili in ore, sono quelli che si danno a fazioni in lotta oppure in guerra.



L’ultimatum di 48 ore è quello che nel 2003 Bush figlio diede a Saddam Hussein per lasciare l’Iraq. Cioè l’ultimatum si usa in tempi di guerra. E questo è ormai il clima abituale tra i “partner” europei.

Nella lettera dell’Ue si usa il tono dell’insolenza per chiederci conto del solito: il debito “troppo alto”. Ma il sottinteso è precisamente quello che è già fallito come attuazione: dovete far calare il debito, dovete tagliare, dovete applicare l’austerità. Pur avendo riconosciuto a suo tempo (lo fece Juncker e lo fece la Lagarde, Presidente del Fondo monetario internazionale) che la ricetta dell’austerità applicata con la Grecia “era sbagliata”, non hanno in mente un piano diverso, quello è l’unico che conoscono.



Ma occorre aprire gli occhi, non si tratta semplicemente di una “ricetta sbagliata”: si tratta di ribadire il fatto che abbiamo perso la sovranità e quindi comandano loro. Lo ha già detto Draghi, ribadito proprio all’inizio del 2019 davanti al Parlamento europeo: “Se un Paese ha il debito troppo alto perde la sovranità”.

Si tratta del tentativo disperato di tenere insieme i cocci di un sistema fallimentare, anzi già fallito. Anche perché gli unici paesi che, nonostante la crisi infinita e senza via d’uscita, hanno avuto qualche pallido miglioramento, lo hanno ottenuto proprio facendo deficit, la cosa agghiacciante che i Commissari europei (come il lettone Dombrovskis e il francese Moscovici, i firmatari della lettera) non vogliono sentir nemmeno nominare, soprattutto nel caso dell’Italia. Proprio il francese Moscovici è colui che è stato ministro delle Finanze del suo Paese quando il deficit era tra il 4% e il 5% del Pil, tra il 2012 e il 2014.



Però in fondo la vera questione non è tanto l’identificazione di una politica (economica e monetaria) sbagliata, ma un intero sistema di pensiero incapace di cogliere la realtà, perché è molto più facile, anche psicologicamente, inventarsi un modello o uno schema e metterci dentro la realtà piuttosto che fare la fatica di comprenderla. Infatti, fare questa fatica poi comporta una fatica ancora più grande, cioè quella di cambiare idea, di cambiare schema.

A oggi lo schema prevede la seguente narrativa: siamo inefficienti e non si può stare in un mondo globalizzato da soli, per cui dobbiamo stare nell’Europa, dobbiamo stare nell’euro, che ci ha portato e ci porta tanti benefici, come per esempio gli interessi bassi, un beneficio di cui non abbiamo approfittato prima della crisi proprio perché siamo spreconi e inefficienti e ora paghiamo gli effetti di questo a causa di un debito troppo alto e lo paghiamo in termini di sovranità perché gli altri non si fidano più di noi, che minacciamo pure di uscire dall’euro, che sarebbe un disastro perché porterebbe alla svalutazione della lira e un’inflazione a doppia cifra che ci impoverisce tutti, soprattutto i più poveri.

Chiedo scusa ai lettori. Io cerco di non scrivere mai un pensiero così lungo senza interrompere al frase. Senza usare i punti. Per dare modo al lettore di assorbire nella sua testa la frase. Per questo uso tanti punti in ciò che scrivo. Punto. Ma quella frase l’ho voluta scrivere così, perché normalmente quando si parla con qualcuno di questi argomenti, quello che scatta nell’interlocutore come meccanismo di “autodifesa” è l’elenco ormai imparato a memoria di tutti i luoghi comuni. Così capita di dover ascoltare questa “filastrocca”, spesso detta tutta d’un fiato, senza pause, in qualche modo come io l’ho scritta.

Normalmente in questi termini è difficile dialogare od obiettare. Anche perché è difficile capire da dove partire, vista la quantità di terminologia falsa o sbagliata. La cosa più “furba” da fare è il tipico gioco dei bambini, quando in tenera età domandano ai più grandi “perché?”. E lo si fa partendo dalla fine, dall’ultima domanda. Perché l’inflazione indebolisce i più poveri? L’inflazione colpisce chi ha denaro, non chi non lo ha. Quindi, l’inflazione è il problema dei ricchi, non di chi non ha denaro.

E perché si correla l’inflazione con la svalutazione? Perché la svalutazione dovrebbe portare all’inflazione? Questo può succedere in quei paesi che hanno bisogno di moneta estera, cioè quei paesi con la bilancia commerciale negativa, mentre quella dell’Italia è in forte positivo da quasi trent’anni. E pure la storia smentisce una correlazione diretta tra svalutazione della moneta e inflazione. Infatti, l’euro è passato dalla vetta di 1,60 nel cambio con il dollaro all’attuale 1,11 che significa una svalutazione del 30%. E proprio in questi anni uno degli indicatori economici indicato come “problema” per l’area euro è la bassa inflazione, sempre molto sotto il 2% indicato come target.

Questo si fa quando l’economia soffre: si svaluta la moneta, stampandone in quantità abbondante, per ridare fiato all’economia. Così come è successo nel 1992, complice l’attacco speculativo contro la lira. Il 13 settembre di quell’anno il Presidente del Consiglio Giuliano Amato annunciò in televisione la svalutazione della lira. Non ci fu alcuna inflazione superiore negli anni a seguire e l’economia iniziò a riprendersi. Di fronte a quei dati inoppugnabili, persino qualche professore di spicco rivedette le sue opinioni, come per esempio il Rettore della Bocconi, il quale in un’intervista ammise esplicitamente: “Io sono tra questi e perciò mi sono chiesto ogni tanto in che cosa fosse giusta e in che sbagliata la posizione che poi è stata smentita dai fatti… Un punto dove certamente ho visto male riguarda le conseguenze inflazionistiche… Lo specifico timore che nel settembre del 1992 mi portava a dire ‘teniamo duro sul cambio’ era che lasciandolo andare, si potesse trovare nella svalutazione la illusoria soluzione dei problemi, senza continuare a risanare la finanza pubblica. E questo è accaduto? No. Anzi…”.

E sapete chi è questo ex Rettore, intellettualmente tanto onesto da ammettere di aver “visto male”? Non so se lo avete presente, si tratta di un certo Mario Monti. La memoria dovrebbe essere un valido aiuto per non ripetere gli errori del passato. Altrimenti si è costretti, in qualche modo, a ripeterli. A ripeterli e poi ad ammettere di nuovo di essersi sbagliati, come con la Grecia, errore ammesso nei mesi scorsi da Juncker e dalla Lagarde. E proprio riguardo la Grecia, lo stesso Monti è colui che nel 2011 diceva che “la Grecia è il più grande successo dell’euro”. Sicuramente è stato un successo per le banche tedesche e francesi, che grazie all’aiuto della Bce si sono arricchite.

In questi anni l’esercizio del buon senso e le lezioni della storia sembrano non aver insegnato nulla a tanti altri “professori”. Ancora pochi giorni fa un professore di Pavia, Riccardo Puglisi, rilanciava in un tweet un suo pezzo riguardo i costi di un’eventuale uscita dall’euro, quantificati in circa 80 miliardi.

E qual è il ragionamento centrale di un simile calcolo? Il fatto che ci troveremmo con “lire svalutate di almeno il 25/30 percento rispetto all’euro”. Il solito ritornello, ovviamente senza alcuna considerazione del fatto che, con una simile svalutazione della moneta, le nostre esportazioni volerebbero insieme alla nostra occupazione. Proprio come accade al Giappone, con un debito altissimo che non crea alcuna preoccupazione nei mercati finanziari proprio grazie alla sovranità pienamente utilizzata sulla propria moneta. E piena occupazione.

C’è da sperare che chi ci governa abbia buona memoria e determinazione, perché l’estate e l’autunno si annunciano piuttosto caldi.

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