Dopo la politica di Quantitative easing attuata dalla Bce, i bilanci delle banche centrali legate all’euro hanno fatto registrare un raddoppio dei volumi dovuto alla “creazione” di denaro, infruttifero o addirittura a rendimento negativo a favore delle banche di proprietà di residenti in Paesi ricchi; denaro ceduto in cambio di attività bancarie a più lunga scadenza. A ben riflettere, considerato che le società private che assegnano i rating di affidabilità creano una penalizzazione sui tassi di interesse, gli acquisti di titoli di Stato italiani da parte della Banca d’Italia hanno consentito di far beneficiare alla Banca d’Italia stessa, e quindi alla quota parte della Bce (il famoso 8% gratuitamente attribuito per dare una semplice autorizzazione), di un differenziale di rendimento di tutto rispetto, atteso che i titoli di Stato italiani nel bilancio della nostra banca centrale hanno raggiunto a fine 2018 la cifra di 320 miliardi di euro, quindi 28 miliardi rappresentano la quota aggiuntiva della banca di Francoforte che solo di spread ottiene dal nostro governo 700 milioni di euro.



Questo esborso lo paghiamo solo perché siamo incapaci di comprendere l’assurdità della scelta “eurista”; a detto esborso vanno aggiunti gli interessi normali e quelli pagati alla Banca d’Italia e alle banche commerciali di proprietà estera, che ci “onorano” moltiplicando il denaro iscritto nel passivo di bilancio – senza alcun esborso effettivo – e in cambio incrementando le rendite, queste sì vere, perché pagate attraverso le imposte incassate dallo Stato, dichiarate esorbitanti non per la vera causa, ma per la presenza di troppi evasori.



Va capito anche che il denaro creato dal nulla con il Quantitative easing non può essere ritirato dal mercato, altrimenti non sarebbe più possibile scambiare beni e servizi: poiché l’euro è una moneta che viene emessa prestandola, il Qe ha reimmesso nei mercati europei il denaro prelevato dalle banche centrali e commerciali attraverso l’addebito degli interessi e che perciò era diventato insufficiente. Da qui la richiesta di molti all’emissione di monete complementari, ma sarebbero state comunque incapaci di contrastare le emissioni a debito dell’euro. 

Come ho già fatto presente in un precedente articolo dedicato al Quantitative easing, negli Stati trattati con occhio di riguardo dalla Bce è stato indirizzato un importo importante di euro superiore a quello prelevato, invece per l’Italia prosegue il trattamento discriminatorio, sia a causa di uno spread penalizzante (le cui maggiorazioni di interessi andrebbero restituite al debitore, atteso l’obbligo imposto agli Stati di non superare autonomamente i vincoli degli organismi “tecnici” europei), sia dell’assoluta irrilevanza (anche questa da me trattata in un altro articolo, anche se, per il periodo comparativo scelto, non ne ho evidenziato la sua massima drammaticità) della coniazione di monete concessaci dalla Bce, che di propria iniziativa avrebbe dovuto invitarci a coniare un valore nominale di monete almeno pari all’ammontare degli addebiti per interessi sui prestiti dello Stato e dei privati.



Sia la Banca d’Italia che la Bce sono i massimi beneficiari di questi esborsi aggiuntivi dovuti ai debiti italiani. In pratica, l’attuale Governo, con la ratifica delle nomine al vertice della Banca centrale, si è costituito garante dell’euro con il patrimonio degli italiani, attesa l’insufficienza di quello dei greci. Infatti, è stato calato un velo non pietoso, ma nero, sull’appropriazione dell’oro e delle riserve valutarie da parte della Banca d’Italia che prima venivano gestite da un organo esterno proprio per caratterizzarne la proprietà di terzi (nel periodo fascista lo Stato, in periodo di vera democrazia, il popolo).

I soldi sottratti ai cittadini con le imposte servono a potenziare le garanzie all’euro che solo l’Italia è capace di accumulare, nonostante la sistematica eccedenza del saldo primario del bilancio dello Stato, come evidenziato nell’attivo della Banca d’Italia dall’oro, incrementato di 3,1 miliardi di euro, e dalle attività nette in valuta, cresciute di 4 miliardi.