Il Governo Meloni è in carica e, come prevedibile, tutto è cambiato per non cambiare nulla. Continua il piano di sanzioni autolesioniste; continua il totale allineamento ai desiderata europei, incluso il Pnrr; continua il totale disinteresse verso le piccole e medie imprese; continua la “distruzione della domanda interna” attuata in varie forme (quella iniziata da Monti e da lui stesso incautamente vantata in un’intervista a una televisione americana).
E continua la crisi, cioè continua ad aggravarsi la situazione economia e finanziaria del sistema Paese. Una crisi che ha radici lontane e profonde, innestate nel sistema euro; quindi una crisi che non riguarda soltanto l’Italia, questo è evidente. Una crisi dalla quale non potremo uscire, finché non usciamo da questo sistema folle chiamato “moneta unica”.
La riprova lampante è cronaca di queste settimane: la travagliata storia (non ancora conclusa) del “bonus casa 110%”. Una storia iniziata con un intento nobile, quello di ridare fiato finanziario a un settore in gravissima crisi da ormai quindici lunghi anni, dallo scoppio della bolla dei “mutui subprime” del 2007. Un intento nobile soprattutto perché l’indotto generato dal settore edile è enorme.
“Gli investimenti in edilizia cresceranno del 17,6% nel 2021 in valori costanti e del 6,6% nel 2022, contro una caduta del 2020 limitata al 5,3%. La spinta principale arriva quest’anno dai lavori di rinnovo nel comparto residenziale (+25,2%), incentivati dal Superbonus e dagli altri bonus fiscali, e dalle nuove opere pubbliche (+15,4%), che confermano l’inversione di rotta avvenuta ben prima dell’avvio della spesa del Pnrr”. Così recita un articolo del Sole 24 Ore di un anno e mezzo fa.
Una spinta che ha portato a una crescita del Pil post-pandemia al 6% e oltre, complice il bonus che nella versione originale era un credito scambiabile. Poi è arrivato Draghi, che ha bloccato la possibilità di scambiare questi crediti, azzoppando così un sistema che iniziava a produrre frutti. Poi è arrivato il Governo Meloni che, continuando il piano draghiano, ha proposto una forte riduzione del sistema, lasciando intendere che la possibilità di accedere al bonus sarebbe stata sempre più limitata e lasciando nei guai una marea di imprese che avevano già iniziato i lavori a proprie spese. Il tutto è stato orchestrato da una campagna mediatica nella quale abbiamo sentito le menzogne più stravaganti, come quella che il bonus aveva generato un debito aggiuntivo di 2.000 euro in capo ad ogni italiano.
Per svelare la menzogna è sufficiente accendere un attimo il cervello e ragionare un attimo. Il bonus è uno sconto su tasse future, quindi nel presente non esiste alcuna “spesa” per lo Stato. Inoltre, produce spese immediate, sulle quali lo Stato incassa immediatamente l’Iva e poco dopo tutte le tasse sull’indotto generato, il quale è escluso dal bonus. Tuttalpiù il bonus potrebbe causare un mancato gettito. Ma intanto un mancato gettito non è mai debito, casomai può provocare un deficit. E poi è tutto da dimostrare il fatto che porti un deficit, visto che il mancato incasso viene dopo l’incasso delle tasse sulle spese provocate dallo stesso bonus. Infine, la considerazione cruciale: stiamo parlando di lavori che non si sarebbero fatti senza bonus, quindi di fatto non c’è alcuna “mancata” entrata, perché la vera alternativa al bonus è nessun lavoro e nessun incasso per lo Stato.
Capite quanto è grottesco il fatto che questo Governo, proseguendo la linea del precedente, si sia messo di traverso al bonus casa? E lo ha fatto mettendosi di fatto contro i giudizi espressi a livello europeo, dove il bonus è stato giudicato positivamente ed è stato negato che il bonus debba essere conteggiato come nuovo debito.
E perché lo hanno fatto? Il vero motivo è che qualsiasi strumento che sia usato per pagare un lavoro e che possa essere in qualche modo scambiato è di fatto moneta. Ma Draghi e i suoi seguaci non possono sopportare che vi sia uno strumento monetario diverso dall’euro, altrimenti perderebbero il controllo della loro meravigliosa macchina di distruzione di massa (dell’economia). Per questo Draghi si è tanto adoperato, da presidente del Consiglio, per bloccare gli effetti benefici indotti da un sistema che, oltre a ridare fiato al depresso settore edile, stava generando una spinta superlativa per tutto l’indotto.
Appare evidente che il ministro dell’Economia Giorgetti, amico di Draghi, stia continuando il piano di “distruzione della domanda”, con l’unico scopo di favorire la speculazione, con l’obiettivo di tenere bassa l’inflazione. Infatti, l’inflazione colpisce i grandi capitali, non i beni (il cui valore cresce con l’inflazione, motivo per cui la casa è sempre stata vista come un bene rifugio) o il lavoro. E l’ottusa dottrina europeista, quella che sta fallendo clamorosamente nel tenere bassa l’inflazione, conosce soltanto una strada per tentare di abbassarla: quella di distruggere l’economia, distruggere la domanda per spingere chi vende a tenere bassi i prezzi pur di vendere. Sta fallendo perché ormai c’è troppo denaro in giro; quello stesso denaro messo in giro dalle istituzioni monetarie (le banche centrali) che negli anni passati con i sempre maggiori “Quantitative easing” hanno cercato invano di stimolare la crescita e l’uscita dalla crisi. Una crisi da loro stessi creata tramite l’eccesso di liquidità.
Tutta questa liquidità è alla ricerca spasmodica di rendimenti positivi, che vi possono essere solo nella misura in cui vi è una crescita nell’economia reale. Ma se questa non cresce, la crescita dei valori finanziari è solo fuffa, aria fritta, una bolla che prima o poi è destinata a scoppiare.
E già sta scoppiando: negli Usa è fallita la Silicon Valley Bank, la banca di riferimento delle start-up americane. Un fallimento provocato anche dal rialzo dei tassi attuato dalle banche centrali. Prendere denaro a prestito è diventato sempre più caro e se questo denaro non trova remunerazioni sufficienti, allora le banche iniziano a saltare, in un gioco a cascata perché spesso le une possiedono le azioni delle altre. Il crollo avviene anche in modo straordinariamente repentino perché in un mondo globalizzato e informatizzato, la vendita delle azioni avviene rapidamente, molto rapidamente, aggiungendo crollo su crollo.
Si tratta di un film già visto appena 15 anni fa, nel 2008. Anche allora le banche centrali stavano rialzando i tassi. Rivedremo gli stessi errori, amplificati dalla enorme liquidità che oggi è in circolazione rispetto ad allora?
Anche qui non c’è da ipotizzare o fantasticare, basta guardare la realtà. Circle, una delle maggiori aziende del mondo delle criptovalute, ha una parte considerevole dei propri depositi presso la SVB. Circle gestisce uno dei mercati maggiori e contribuisce a mantenere la parità col dollaro delle stable coin, la prima tra tutte USDC. Ma il valore di USDC proprio in queste ore è crollato, passando da 1$ a 0,90. Qualche fessacchiotto è contento, pensando che le criptovalute siano prive di valore.
Occorre capire il meccanismo: il meccanismo di “creazione di valore dal nulla” delle criptovalute è lo stesso dei sistemi monetari ufficiali. Quindi, anche i sistemi monetari ufficiali possono perdere di valore da un giorno all’altro.
Anzi, già lo stanno facendo: si chiama inflazione. E le banche centrali stanno lottando disperatamente contro l’inflazione perché questa distrugge il valore del denaro, il loro prodotto di punta, quello che incautamente le stesse hanno stampato in quantità eccessiva.
Lo fanno, ma stanno fallendo nel loro compito. Per ignoranza e per stupidità, unita a una certa dose di brama di potere.
Mentre sto scrivendo le righe conclusive di questo pezzo, i mercati finanziari stanno crollando, nonostante i messaggi rassicuranti della Fed dopo la notizia del secondo fallimento bancario Usa in pochi giorni, quello della Signature Bank. La Fed ha assicurato che i correntisti avranno tutti i loro soldi. Ovviamente lo ha fatto per rassicurare tutti gli altri ed evitare la fatidica corsa agli sportelli, l’evento che è capace di far fallire qualsiasi banca. Il motivo non detto, il grande segreto della finanza moderna è che in banca i soldi non ci sono per cui se una fetta modesta dei clienti corre in banca a ritirare tutti i propri risparmi, la banca semplicemente fallisce. La tecnologia tra l’altro permette anche di non fare nessuna corsa e nessuna fila, perché tutto si può fare online.
Tanto per esser chiari su quanto sia grave la situazione, il fallimento della SVB è il più grande dal 2008, cioè dal fallimento della Lehman, il più grande della storia bancaria, con un debito di oltre 600 miliardi di dollari. La Fed giustamente temeva un effetto domino, ma ora si trova di fronte adun vicolo cieco, da me più volte battezzato “il vicolo cieco delle banche centrali”: se continua la politica dei rialzi dei tassi di interesse, vi saranno altri fallimenti bancari (si alzano anche i tassi dei titoli di Stato e quindi tali titoli, in pancia alle banche, valgono sempre di meno, facendo crollare il valore delle azioni delle banche); se smettono di rialzare i tassi, allora l’inflazione si mangerà il valore dei grandi capitali, provocando una corsa ad acquistare beni reali e facendo esplodere l’inflazione. Nel frattempo la fuga dei capitali dai mercati finanziari verso l’economia reale farà crollare i primi, provocando ulteriori disastri.
Ci vuole molto a prevedere che non finirà bene? E non stiamo tenendo conto dei possibili sviluppi della guerra in Ucraina, del crollo demografico, di una possibile nuova pandemia…
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