Lo sciopero generale della sanità proclamato per la giornata di ieri 20 novembre dalle organizzazioni sindacali autonome dei medici, degli infermieri e delle professioni tecniche e amministrative, ha riscosso una forte attenzione dei mass media. Le rivendicazioni delle categorie interessate associano temi di carattere generale, che prendono spunto da alcune evidenti criticità del Sistema sanitario nazionale, alle proteste per il mancato riscontro delle aspettative riguardanti il miglioramento degli stipendi nella proposta di Legge di bilancio 2025 avanzata dal Governo e in discussione al Parlamento.
Queste rivendicazioni sono comuni a quelle avanzate dalle federazioni del personale della sanità pubblica e privata aderenti alle grandi confederazioni sindacali. Le carenze del sistema sanitario, in particolare le difficoltà di accedere a prestazioni diagnostiche, ambulatoriali e ospedaliere in tempi ragionevoli, riscontrano un grande consenso nell’opinione pubblica. Le carenze di personale medico e infermieristico spiegano buona parte dei ritardi e aggravano le condizioni di lavoro. Le comparazioni con quanto avviene negli altri Paesi sviluppati sono impietose. Nella recente stima effettuata dall’Ocse sull’incremento della spesa sanitaria pubblica pro capite tra il 2000 e il 2022 nei 37 Paesi sviluppati aderenti, l’Italia riveste il ruolo di fanalino di coda per il basso tasso di incremento (+120% rispetto ad una media superiore al 200%) e per il valore assoluto della spesa pro capite (3.254 dollari) inferiore a quello della maggior parte dei Paesi analizzati. La quantità della spesa pubblica destinata al Servizio sanitario nazionale, il 6,2% del Pil, risulta inferiore alla quota impegnata dalla Germania (10,1%), dalla Francia (10,1%) e dalla Spagna (9,6%). Distante anche il numero dei medici e, in particolare, quello degli infermieri in rapporto alla popolazione (6,5 ogni mille abitanti rispetto al 8,4 della media Ue). Personale infermieristico che beneficia di retribuzioni medie inferiori a quelle colleghi degli altri Paesi europei (32 mila euro anno rispetto a una media Ue superiore ai 40mila euro).
La scarsa attrattività dei profili professionali della sanità sta comportando un esodo di una parte significativa delle persone formate in Italia verso altri Paesi europei. Una tendenza preoccupante se si tiene conto della bassa produzione italiana di giovani infermieri laureati (16,4% sul totale delle lauree rispetto al 37% della media Ue) e dei fabbisogni di ricambio dei dipendenti del sistema sanitario per la maggior parte caratterizzato da persone over 50 anni.
Argomenti sacrosanti, sostenuti anche dall’opposizione parlamentare che contesta il Governo per il mancato adeguamento della spesa pubblica rispetto ai fabbisogni. Ma alla riduzione della spesa sanitaria in rapporto al Pil e ai risultai negativi descritti hanno concorso nel tempo i Governi di diversa estrazione e colore senza alcuna eccezione. Evidentemente il sistema sanitario e il lavoro di cura delle persone sono stati sacrificati per assecondare altre aspettative.
Secondo le stime della Banca d’Italia, la nostra spesa pubblica dedicata alle prestazioni sociali risulta in linea con quella media dei Paesi dell’Ue (33% del Pil), ma è superiore di 3 punti per la quota dedicata ai sostegni al reddito di varia natura e ridotta di un importo pressoché analogo per quella destinata a finanziare i sistemi della sanità e dell’istruzione. Una spiegazione che certifica le cause del degrado delle prestazioni sanitarie e la riduzione del personale dedicato allo scopo per compensare i fabbisogni di contenimento della spesa pubblica.
Le rivendicazioni delle organizzazioni sindacali sui diversi fronti, a partire dall’ossessione di anticipare l’età di pensionamento e di ampliare le forme dei sostegni al reddito di varia natura, hanno offerto il loro contributo per la degenerazione della spesa pubblica.
Se l’analisi ha un fondamento, la risposta non può essere trovata aumentando il livello delle rivendicazioni, ma razionalizzando la spesa pubblica sulla base delle priorità di un Paese che registra il maggior tasso di invecchiamento della popolazione e un prevedibile aumento delle persone non autosufficienti. La soddisfazione dei nuovi fabbisogni può essere favorita dall’impiego delle nuove tecnologie e da una riorganizzazione dei servizi valorizzando il territorio e il domicilio delle persone, ma risulta incompatibile con il perdurare dei comportamenti corporativi che comportano uno spreco di risorse.
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