Il progetto della Turchia di diventare un hub del gas regionale continua in questi giorni mentre le tensioni in Medio Oriente non accennano a diminuire. Le ultime evoluzioni geopolitiche premiano la Turchia che mantiene tutte le condizioni necessarie per le sue aspirazioni energetiche. Ankara continua a mantenere relazioni stabili con uno dei tre principali produttori di idrocarburi al mondo, la Russia. Le ultime prese di posizioni sul conflitto in Palestina non pregiudicano i rapporti con alcun Paese arabo né sulla sponda settentrionale del Mediterraneo, né nella penisola araba. Mentre Israele è costretta a fermare la produzione del giacimento di gas di “Tamar”, la costruzione del gasdotto “east-med” che avrebbe dovuto collegare l’offshore israeliano con la Grecia sembra diventata politicamente impossibile. Più a nord, invece, in Turchia lo scenario rimane tranquillo.
Dopo l’esplosione del Nord Stream 2 i flussi di gas russi che prima passavano a nord della Germania oggi potrebbero essere ridiretti verso la Turchia e arrivare, indirettamente, in Europa senza che per i Paesi importatori sia necessario un rapporto diretto con la Russia. Vale la pena precisare, a questo proposito, che in questi mesi il gas russo è continuato ad arrivare in Europa sotto forma di gas liquefatto e alcuni Paesi, come la Spagna, hanno aumentato le importazioni rispetto agli anni antecedenti alla guerra in Ucraina.
All’inizio del 2023 la Turchia ha inaugurato l’espansione del sito di stoccaggio di Silivri che con i suoi 4,6 miliardi di metri cubi è il più grande d’Europa ed è in grado di soddisfare il 25% della domanda invernale di gas turca. La Turchia sta sviluppando un altro sito di stoccaggio, Tuz Golu, per una capacità addizionale di 5,4 miliardi di metri cubi di gas. Nel giro di due anni la Turchia ha raggiunto il 60% della capacità di stoccaggio dell’Italia che invece è ferma al palo. Il Paese asiatico non deve seguire un programma serrato di “transizione energetica”, non ha il tabù degli investimenti in infrastrutture energetiche basata sugli idrocarburi, e può presentarsi ai Paesi produttori come un compratore affidabile nel medio lungo termine. La transizione green europea richiede, nella migliore delle ipotesi, almeno una generazione ed è ormai chiaro che gli idrocarburi continueranno a essere una parte fondamentale del mix energetico per molti anni a meno di condannarsi a una povertà energetica che ha effetti devastanti sulle economie come dimostra l’industria tedesca.
L’hub regionale del gas sarà in Turchia e i dividendi politici e economici che questo comporta anche in termini, eventualmente, di ricatto verso i vicini sono incalcolabili. L’Italia per la sua posizione geografica e per la sua storia politica sarebbe il concorrente naturale della Turchia, ma nello scenario attuale non ha le minime condizioni necessarie per la sfida. I rapporti con la Russia sono ai minimi di sempre, i rapporti con la sponda araba del Mediterraneo sopravvivono a stento tra crisi politiche, come quella con l’Egitto, e passi falsi storici come quelli della crisi libica del 2011. Le vicende delle ultime settimane rischiano invece di mettere a rischio i progetti italiani di rilancio della produzione libica. L’Algeria, nel frattempo, firma contratti nell’industria della difesa con la Russia. Infine, l’Italia a stento avvia investimenti infrastrutturali nel settore del gas; persino dopo la crisi energetica del 2022. Ricordiamo che ben prima dell’epilogo del Nord Stream 2, l’Italia aveva dovuto rinunciare al gasdotto “South Stream”.
In questo scenario l’Italia non si può neanche sognare di coltivare le aspirazioni che la sua posizione geografica, la sua storia politica e le sue competenze tecnologiche nel settore degli idrocarburi renderebbero legittime. Anzi, questi sogni probabilmente impediscono di osservare la realtà per quello che è e di cominciare a attrezzarsi per il “minimo sindacale”: esplorazione nei mari italiani, investimenti in capacità di stoccaggio e rinnovato impegno “politico”, senza schemi fissi, nei Paesi appena fuori dai confini meridionali. I grandi piani, nello schema geopolitico attuale e nel pieno del “sogno green”, sono preclusi all’Italia.
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