Tre dei 156 voti che ieri in Senato hanno dato al governo Conte 2 una fiducia “a maggioranza semplice”, sono giunti da senatori a vita: Liliana Segre, Elena Cattaneo e Mario Monti. Gli stessi avevano contribuito ai 169 sì raccolti dal Conte 2 alla prima fiducia parlamentare, nel settembre 2019. Nessun voto favorevole dai senatori a vita era giunto a Conte fra i 171 che avevano promosso il governo M5s-Lega nel giugno 2018. Cattaneo e Monti sono stati nominati dal presidente Giorgio Napolitano; Segre è invece l’unica designata, finora, da Sergio Mattarella. Il plenum dei 6 senatori a vita – compreso Napolitano, di diritto – è completato da Carlo Rubbia e Renzo Piano: ieri assenti (Rubbia, peraltro, al centro per tutto il giorno di voci insistenti di presenza-voto pro-Conte).
Lo status pieno dei senatori a vita – sancito a livello costituzionale – non può essere soggetto a discussione alcuna. E la storia parlamentare è ricca di episodi di partecipazione attiva dei senatori a vita: anche se questi risultano prevalentemente collegati al ruolo tradizionale di alta testimonianza morale della civiltà italiana. Forse è anche sulla base di questa presunzione di “imparzialità” rispetto alla contesa politica che la posizione dei senatori a vita non è stata minimamente considerata nel recente ridimensionamento drastico del numero dei parlamentari: prima modifica della struttura delle Camere disegnata dalla Carta nel 1948. Eppure il peso dei senatori a vita viene oggettivamente accresciuto nella prospettiva di Palazzo Madama ristretto a 200 seggi elettivi. E se ne è avuta conferma già ieri, col Senato a 321, compresi i sei “a vita”: quali sarebbero stati commenti e reazioni se Conte si fosse fermato a 153 voti?
Continuano a restare intatti – ogni volta che la cronaca politica cita i senatori a vita – gli interrogativi legati all’attualità di figure che l’Italia democratica e repubblicana ha ereditato dal vecchio Senato regio. Figure ormai del tutto assenti in ogni altra grande democrazia contemporanea: nei fatti anche in Gran Bretagna, dove la Camera dei Lord sopravvive ma senza effettiva voce in capitolo sull’attività legislativa e sul cabinet.
La sessione di ieri al Senato ha in ogni caso enfatizzato spunti di cronaca e riflessione “di costituzione materiale” già emersi all’epoca della prima fiducia al Conte 2. Già prima del voto di ieri – in un’intervista al Fatto Quotidiano con grande eco – la senatrice Segre aveva preannunciato la sua fiducia bis al Conte 2, derivandolo dall’“indignazione” provocata dall’apertura della crisi di governo da parte di Iv. “L’Italia è in pericolo”, ha avvertito Segre.
Non sembra inutile notare che chi ha suscitato pubblica “indignazione” e vivo “allarme democratico” nella senatrice a vita è stato Matteo Renzi: un senatore eletto (a differenza del premier Giuseppe Conte, mai eletto in una consultazione democratica); un ex premier – a suo tempo non parlamentare, ma sindaco eletto di Firenze – ed ex leader del Pd, oggi a capo di Iv, una formazione politica forte di 18 senatori eletti.
Nel settembre 2019, la senatrice Segre si era invece distinta per un intervento molto duro e inequivocabile contro il vicepremier uscente Matteo Salvini: lui pure un senatore eletto, leader della Lega, terzo partito italiano dopo il voto 2018 e primo all’euro-voto del maggio 2019. Salvini, poco prima, era stato oggetto di un attacco personale nella “sua” Aula parlamentare da parte dello stesso Conte, suo premier per quattordici mesi. E senza che la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, avesse nulla da eccepire.
“Mi hanno preoccupato i numerosi episodi susseguitisi durante l’ultimo anno che mi hanno fatto temere un imbarbarimento con casi di razzismo trattati con indulgenza, la diffusione dei linguaggi di odio. Anche con l’utilizzo di simboli religiosi in modo farsesco e pericoloso un revival del ‘Gott mit uns’, a me fanno questo effetto, forse solo a me in quest’aula”. Questo, il 9 settembre 2019, il cuore dell’intervento di Segre: reduce da Auschwitz e insignita del laticlavio a vita per la sua lunga testimonianza di memoria della Shoah. Per la cronaca, Salvini non si è mai segnalato per prese di posizione antisemite, anzi: un seminario parlamentare organizzato dalla Lega nel gennaio 2020 ha visto l’intervento dell’ex ambasciatore di Israele all’Onu, già direttore generale del ministero degli Esteri nel governo Netanyahu. Dore Gold ha apprezzato pubblicamente la posizione di Salvini, che si è detto pronto a sostenere anche in Italia una legislazione contro l’antisemitismo, a contrasto di ogni boicottaggio contro lo Stato di Israele. Il leader della Lega non si è opposto neppure alla creazione di una commissione bicamerale straordinaria contro i fenomeni di odio, personalmente proposta da Segre – anche sulla scia di una controversa campagna giornalistica – il giorno dopo l’affermazione del centrodestra nelle elezioni in Umbria. I lavori della “commissione Segre”, solo in parte insediata all’inizio del 2020, non sono poi mai effettivamente partiti e oggi l’iniziativa appare dimenticata.
Tutti gli interrogativi sui senatori a vita sembrano rimanere in attesa di risposta a maggior ragione dopo la conversione di Monti a “responsabile” di Conte. Lo stesso “cursus” istituzionale dell’economista della Bocconi ne aveva già sollevato di numerosi. Nominato senatore a vita ex ante per presiedere un governo istituzionale di unità nazionale, Monti ne era uscito trasformisticamente come leader politico di Scelta Civica, in lizza alle elezioni 2013 (è la stessa traiettoria che molti preconizzano oggi a Conte).
I senatori a vita possono emergere come soggetti decisivi nel confronto politico? Addirittura come “partito”? Resta assodato che essi vengono designati dal Presidente della Repubblica, suprema figura di garanzia istituzionale della democrazia nel Paese, “per avere illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (articolo 59 della Costituzione). I senatori a vita non sono più da molto tempo nominati da un Re abituato a riempire il “suo” Senato di fedeli generali, nobili, magistrati e notabili: utili a controbilanciare il peso crescente della Camera elettiva, via via “invasa” dai partiti popolari. Fino a quando, un secolo fa, arrivò Benito Mussolini a trasformarla in “Camera dei fasci e delle corporazioni”. Il Duce, naturalmente, si guardò sempre dal toccare le prerogative di un Senato regio interamente formato, per legge, da membri “a vita”.