Il Mercato ha fallito, lo Stato non è la soluzione, la Società arranca. Si sarebbe potuto chiamare così un film della compianta Lina Wertmuller, ma si tratta più semplicemente del titolo e dell’attacco di un modesto articolo di giornale. Che vorrebbe, l’articolo, dimostrare che stiamo alquanto messi male dal momento che le tre istituzioni citate – Mercato, Stato e Società – non stanno certo vivendo la loro stagione migliore. E noi con loro.
Il Mercato ha imperato nella sua forma più spinta – che qualcuno ha battezzato del turbo capitalismo – a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso grazie soprattutto alle politiche di Ronald Reagan in America e Margaret Thatcher in Inghilterra. Privatizzazioni, liberalizzazioni e deregolamentazioni avrebbero dovuto liberare quello che restava degli spiriti animali dell’impresa per recuperare produttività, reddito, occupazione.
È finita con l’affermazione del fenomeno che chiamiamo globalizzazione con la caduta delle barriere tra gli Stati, la libera circolazione di persone beni e servizi, le produzioni decentralizzate, le catene lunghe del valore, i prezzi più convenienti per tutti e su tutto (o quasi). Ma abbiamo anche avuto una forte divaricazione tra poveri sempre più poveri (e numerosi) e ricchi sempre più ricchi segnando l’avvento di un’epoca di forti disuguaglianze.
Talmente forti che hanno provocato una crisi di rigetto pressoché generalizzata con la nascita di movimenti di protesta sempre più radicati e allargati, l’affacciarsi e l’affermarsi di formazioni politiche populiste e nazionaliste, la contestazione dell’Europa per la risposta sbagliata alle crisi finanziarie. Il tutto accompagnato dall’accentuarsi della crisi climatica e dei sacrifici richiesti per debellare inquinamento e anidride carbonica.
La pandemia del 2020 ha rappresentato il punto di svolta: fuori il Mercato, dentro lo Stato. Di fronte a un evento inatteso, sconosciuto, praticamente di portata mondiale i Governi hanno cercato di recuperare la centralità perduta venendo in soccorso di imprese e cittadini con misure straordinarie. Anche l’Europa si è mondata degli errori passati accettando di fare debito comune e lanciare il famoso piano d’investimenti NGEu.
Ma gli Stati, e il nostro più degli altri, hanno vocazioni più assistenziali che imprenditoriali e alla lunga distanza (anche alla media) diventano d’intralcio alla crescita invece che d’aiuto. Poi si ritrovano con conti appesantiti e la necessità di ripagarli mostrando di poterlo fare senza problemi per non impensierire chi i soldi ce li ha prestati. In più hanno a che fare con la politica e il consenso spicciolo elettorale che ne condiziona il comportamento.
La risposta potrebbe arrivare dalla Società. Da quel coacervo di istituzioni, associazioni, organizzazioni che dovrebbero rappresentare la linfa vitale di ogni comunità. Il naturale contrappeso alla politica politicante, l’antidoto alla sclerotizzazione dello Stato e all’arroganza del Mercato, il luogo che dovrebbe meglio e più che altrove rappresentare gli interessi di cittadini, famiglie, imprese. Il baluardo della libertà di pensiero e di azione.
Ma in quale situazione versano i paladini della Società, per esempio in Italia? Non sembra che i cosiddetti corpi intermedi se la passino molto bene in termini di salute interna e autorevolezza esterna. Schiacciati su interessi di parte e spesso dilaniati da lotte intestine non riescono a intestarsi il rinnovamento che serve a trasformare in fatti concludenti i buoni propositi. Criticano i vizi della politica facendoli propri, talvolta amplificandoli.
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