Il Piano nazionale di ripresa e resilienza non prevede 17 miliardi per la parità di genere. Sono “forse e diciamo consapevolmente forse” intorno ai 4 i miliardi stanziati (ma abbiamo dei seri dubbi) per le iniziative strettamente legate alle politiche e progetti di pari opportunità. Il resto dei miliardi è diviso fra altre voci nella 5° fascia definita genericamente coesione sociale. La parità di genere è stata inserita così di striscio nel quinto asse del piano, e la sensibilità del Governo sul tema non è però andata molto più in là di questo taroccato riconoscimento formale. Dunque un bluff non da poco se ricordiamo le parole promesse sia di Conte che della “dimessa” ministra Bonetti e se sottolineiamo che anche l’Europa ci sollecita da anni a lavorare e investire in un obiettivo trasversale, in grado di incidere su tutti i diversi progetti e capitoli di spesa, in un sistema gender mainstreaming ed empowerment femminile visibile, tracciabile e concreto.
Il cambiamento di prospettiva manca sicuramente a questo Governo anche perché per sostenere la presenza delle donne nel sistema del mercato del lavoro e del welfare servono interventi diversificati anche in base alla fascia di età, per incrementare l’orientamento femminile verso l’istruzione e la formazione, per irrobustire l’occupazione delle giovani donne, sostenere le madri che vogliono continuare a lavorare o trovare un nuovo lavoro, le donne lavoratrici o meno che assistono i familiari non autosufficienti, e se vogliamo veramente contrastare le differenze salariali e pensionistiche. Cominciando anche dalla cura, vista come una responsabilità sociale di tutti e non solo delle madri.
È necessario un cambiamento di paradigma che è ulteriormente ritardato dalla pandemia del Covid-19 che sta discriminando pesantemente le italiane. E invece no, ancora una volta il Governo delude e soprattutto abusa dell’intelligenza della sua popolazione femminile promettendo e agendo diversamente. Dunque il Governo, sulla base delle linee guida europee per l’attuazione del Piano, pur promettendolo ma sapendo di mentire non ha presentato al Parlamento un modello di governance che identifichi la responsabilità della realizzazione del piano, assicurando il 50% della presenza di donne, garantendo il coordinamento con i Ministeri competenti a livello nazionale e gli altri livelli di governo, monitorando i progressi di avanzamento della spesa.
L’inversione di marcia di un Governo è fondamentale. Noi abbiamo bisogno di interventi già indicati proprio su queste pagine, e più volte con atti concreti e professionalità in sintonia con l’evoluzione delle linee guida dell’Ue, per recuperare quel gap su tutti i fronti delle politiche femminili che ci sbatte in fondo alla classifica della situazione economica comunitaria. Dobbiamo da subito novellare il Codice delle pari opportunità con la definizione di chiari parametri di rispetto della parità salariale e delle pari opportunità sul luogo di lavoro, con un meccanismo premiante per i datori che rispettano questi principi e criteri attraverso consistenti sgravi contributivi e/o fiscali.
Le modifiche dovranno e potranno produrre ulteriori, efficaci e maggiormente cogenti strumenti volti a combattere le sperequazioni, le discriminazioni e gli abusi che si hanno nel mondo del lavoro. Una maggiore conoscenza (ed esercizio) dei diritti si impone, allora, come un primo, essenziale, benché parziale, passo in questa direzione. Le politiche attive per il lavoro devono incentivare nuovi strumenti digitali e favorire orientamento e formazione delle donne anche a distanza, offrendo nuove opportunità di occupazione e di acquisizione di competenze tecnico-scientifiche o di indirizzo verso professionalità che il mercato del lavoro richiede e sono introvabili.
Dobbiamo subito mettere in campo l’attivazione di politiche di condivisione del lavoro di cura e della genitorialità, attraverso interventi strutturali, prolungando il congedo di paternità e ponendo a carico dell’Inps l’anticipo dell’indennità obbligatoria di maternità, risolvendo così il problema di liquidità delle piccole e medie imprese italiane, ponendo il 100% di indennità obbligatoria di maternità a carico della fiscalità generale qualora non sia già presente nei rispettivi contratti collettivi nazionali; ampliando il sistema dei fondi bilaterali come strumento di contrattazione aziendale solidaristica tra lavoratrici e lavoratori che abbiano necessità di maggiori congedi parentali.
Noi pretendiamo tutto questo per le donne italiane che spesso non hanno voce e che si meritano un Governo migliore dell’attuale.