Il caso Durigon è chiuso, quello Lamorgese anche: ma forse non del tutto. Le dimissioni del sottosegretario leghista – per la controversa richiesta di re-intitolare ad Arnaldo Mussolini un parco di Latina – sono maturate dopo un vertice fra il premier Mario Draghi e il leader della Lega, Matteo Salvini, in cui sono state accolte anche ragioni di scontento verso il ministro dell’Interno. Un chiarimento diretto alle viste fra i due sarebbe in agenda e questo, al momento, vale la “blindatura” dell’ex prefetto di Milano almeno nei titoli dei grandi media.
L’estromissione di Durigon dal Governo, tuttavia, è stata tutt’altro che indolore sul piano politico-mediatico. Per esempio: l’ansia di un “chiarimento istituzionale” con Salvini è filtrata dal Viminale lo stesso giorno in cui Giancarlo Caselli – sul Fatto Quotidiano – ha invocato un licenziamento altrettanto “istituzionale” per il sottosegretario al Mef. Non è stato l’unico passaggio in cui sono venuti al pettine i nodi di una vicenda tutta politica: e poco riducibile a semplice schermaglia ferragostana nella maggioranza di unità nazionale.
L’agitazione di Caselli – una volta di più – è apparsa simbolica. È stata la magistratura “caselliana” a mettere da subito nel mirino Salvini – vicepremier e ministro dell’Interno nel Conte 1 – per la sua gestione dei flussi migratori (in realtà per il suo stesso approdo a palazzo Chigi, con il Pd all’opposizione). E l’escalation giudiziaria – esasperata nelle sue coloriture politiche nel caso della “capitana Carola” – è stata decisiva nell’espellere Salvini da Chigi nell’agosto di due anni fa: forzando il rientro del Pd al Governo.
È da allora che al Viminale siede Lamorgese. Ufficialmente ministro tecnico/istituzionale, nei fatti parte di un governo M5s-Pd-Iv-Leu squisitamente politico. Riconfermata da Draghi in un Governo di unità nazionale, il ministro continua inevitabilmente a scontare il suo avvento ibrido. Ed è probabile che le intemerate ufficialmente “istituzionali” come quelle giunte dall’ex procuratore di Palermo e Torino non l’aiutino affatto, al contrario.
La confusione (strumentale) fra livello tecnico-istituzionale e livello politico è infatti oggi quanto di più insidioso sulle labbra di un alto magistrato di lungo corso. Il caso Palamara – ancora aperto – ha chiarito che anche l’attacco giudiziario al ministro Salvini è stato schiettamente politico, per quanto ammantato di “istituzionalità”. La raffica di inchieste contro l’operato del ministro Salvini è è stata anzi la spia ultima e preoccupante di un degrado crescente nell’equilibrio istituzionale fra poteri dello Stato: al quale la riforma appena varata dal ministro (tecnico) Marta Cartabia ha inteso iniziare a porre rimedi.
Ci sono pochi dubbi che l’uscita di Durigon (un membro del Governo) sia stata “istituzionalmente” inopportuna in una Repubblica in cui la ricostituzione del partito fascista è vietata da una disposizione transitoria della Costituzione. Ma non sono parse meno inopportune, negli stessi giorni, alcune dichiarazioni di Lamorgese, che ha parlato di “tema giusto” a proposito dello ius soli, in scia al rilancio improvvisato del leader Pd Enrico Letta, dopo le vittorie olimpiche dei “nuovi italiani”.
Quella dell’accoglienza legale (istituzionale) dei migranti resta questione (politica) estremamente divisiva nel Paese. Può un ministro ufficialmente tecnico in un Governo di unità nazionale parlarne in libertà sposando la linea di un partito? Può Lamorgese mostrare chiara simpatia per la linea del Pd, cui il ministro ha risposto per 18 mesi come al partner di una maggioranza politica, mentre oggi i dem partecipano a una ben più larga maggioranza istituzionale? Può il successore di Salvini (già vicepremier, senatore eletto, leader del terzo partito italiano) continuare a contraddire apertamente il predecessore indossando vesti sempre formalmente tecniche?
Non sembra tema estivo – o di “lana caprina” costituzionale – allorché la svolta-choc in Afghanistan ha riacceso i fari sulle onde migratorie da Africa e Asia. Né sembra questione distinta dall’inquietante gestione dell’ordine pubblico attorno al “rave” di Valentano, mentre il secondo autunno del Covid incombe con tutte le sue incognite. Il presente del Viminale (non il passato di Littoria-Latina) può perfino assumere rilievo geopolitico: quando il premier Draghi è impegnato nei G7 e nei G20 d’emergenza attorno al sisma di Kabul. La lettura della crisi afghana da parte del ministro dell’Interno italiano è per caso assimilabile a quella di Emergency? Cosa pensa Lamorgese del muro eretto dalla Grecia ai confini della “democratura” turca, nell’ennesimo silenzio-assenso dell’Ue?
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