Nella finanza operativa, il ruolo del risk manager è di particolare delicatezza e fondamentale importanza. Estremizzandone la funzione, si può affermare che lo scandire delle ore di ciascuna giornata è caratterizzato dalle numerose stime e verifiche su quest’ultime, al fine di poter individuare (e prevedere) i cosiddetti rischi in caso di assunzione di una certa posizione sul mercato. Semplificandone ulteriormente l’apporto ai cosiddetti operatori del desk (per esempio, trader proprietari), i report che vengono di volta in volta inviati esplicitano i singoli rischi, l’entità dell’eventuale caso contrario, l’impatto specifico, quello complessivo e via via con l’elenco di molteplici e ulteriori dettagli che l’imprevedibile finanza potrebbe presentare. Nel rispetto di tutte le altre attività che caratterizzano la funzione di risk management, quella riportata è una che può decisamente contraddistinguere il successo o l’insuccesso sul mercato: stima prima (ex ante) “il quanto” potrebbe accadere dopo (ex post).



Contestualizzando la sopracitata funzione alla gestione delle finanze pubbliche, sorgono dubbi sull’attuale stato della “cosa pubblica”. Pochi giorni fa, nel commento dell’ultimo rapporto Istat sul II trimestre 2020 emerge come «la stima completa dei conti economici trimestrali conferma la portata eccezionale della diminuzione del Pil nel secondo trimestre per gli effetti economici dell’emergenza sanitaria e delle misure di contenimento adottate, con flessioni del 12,8% in termini congiunturali e del 17,7% in termini tendenziali, mai registrate dal 1995. Nella stima preliminare il calo congiunturale era pari al 12,4%».



È opportuno ribadirlo: si tratta di un dato che, come sottolineato dallo stesso Istituto di ricerca, non si è mai registrato dal 1995. Comprendendo l’inaspettata novità storica, a corollario di tali rilevazioni, la recente considerazione del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri rilasciata durante un’intervista ad Agorà Estate desta una comprensibile preoccupazione sul nostro futuro: «La stima annuale del Pil fatta in precedenza dal governo “è stata fatta quando non si sapeva quanto sarebbe durato il lockdown: la nuova stima sarà peggio del -8% stimato, ma non così tanto. Tutti i previsori che indicavano -11, -12, -13% dicono che l’Italia fa meglio di quanto loro prevedevano”» (fonte Ansa). L’incerta aleatorietà della previsione – ovviamente – non è in capo al Ministro che, come tanti suoi illustri predecessori, deve presidiare il terreno più minato di un’azione di Governo: gestire al meglio le nostre finanze. Un ruolo che, prescindendo dalle opposte fazioni politiche, vedrà sempre un operato mai all’altezza di una contraccambiata soddisfazione. Il riconoscimento politico è pressoché nullo sia nel caso di buon e diligente lavoro che, malauguratamente, nei più numerosi insuccessi.



Si ritiene, nulla togliendo alle indubbie competenze del Ministro Gualtieri, che il tema “economico e finanziario” del Paese debba essere affrontato con maggior precisione e dettaglio numerico. È impensabile improvvisare in ambito numerico, come, allo stesso modo, è inimmaginabile che un risk manager possa stimare un rischio specifico con un intervallo di confidenza troppo ampio e un orizzonte temporale non definito. È obbligatorio un cambiamento.

Anche se il pubblico, ovvero gli stessi elettori, stenta a comprendere le moltissime dinamiche di un Paese, si ritiene – ragionevolmente – che grazie a un attento e costante presidio numerico si possa informare molto meglio la platea degli osservatori. Almeno in materia economica/finanziaria.

La recente storia politica si è soffermata su cosiddetti «decimali» per poi ovviare al pronunciamento di stime poiché impossibilitati a una valutazione a causa del mai vissuto Covid-19. Oggi si pretende un cambiamento che, come detto, deve essere obbligatorio. Cambiare approccio, cambiare “il come” per meglio individuare “il cosa”. Non più stime prudenziali che poi si tramutano -sistematicamente – in approssimazioni pari allo “zero virgola”. Vogliamo i numeri. Dateci i numeri, quelli veri, che tutti sanno, e che tutti temono di scoprire davanti a un pubblico esigente. Non è più comprensibile un atteggiamento attendista nel voler scaricare la responsabilità all’ignoto, ai mercati, alla finanza, e ai suoi squali. Si pretende la responsabilità anche se la realtà dei fatti (dei numeri) fa o farà male.

Fino a quando questo approccio non verrà compreso e condiviso, l’Italia, la nostra Italia, vivrà solo e sempre di alibi. Come gran parte degli italiani.