Un articolo sulla nuova teoria economica MMT (Teoria della massa monetaria) e le preoccupazioni esternate dalla Bce sul suo Bollettino economico in merito all’indebitamento dell’Italia e dei Paesi con alto debito mi inducono a intervenire per consentire ai lettori di diversificare gli angoli di osservazione e farsi un’opinione veritiera del quadro economico in cui ci troviamo e dal quale è opportuno uscire con soluzioni originali, fattibili e di sicuro successo.



L’articolo apparso su Avvenire che parla della MMT parte da alcuni assunti che fanno parte del linguaggio economico invalso nell’economia istituzionale, ma clamorosamente smentiti dagli studiosi di nomismatica (studio della moneta):

1) l’economia europea non permette passivi di bilancio superiori al 3%;



2) lo Stato troppo indebitato non riesce a collocare presso gli investitori il proprio debito, se non con tassi particolarmente alti;

3) l’euro non può essere svalutato per fare un favore all’Italia;

4) se avessimo la vecchia lira potremmo avere deficit di bilancio, ma a prezzo di rischiare un’inflazione fuori controllo e demolire la fiducia degli investitori stranieri.

Infatti, i teorici della MMT contrastano la visione del deficit dello Stato e del debito pubblico presentata dai tradizionalisti delle scienze economiche assegnando allo Stato il compito di gestire la massa monetaria anche a deficit, purché gli investimenti funzionino, cioè assorbano disoccupazione e non generino inflazione.



Interpretando in questo modo e semplificando, la MMT sarebbe un modo diverso di presentare quanto affermato dalle tesi keynesiane; pertanto non si comprenderebbe l’avversione degli altri economisti, salvo il loro interesse o la loro preferenza a mantenere il potere monetario nelle mani delle banche centrali.

Peraltro, l’incapacità delle banche centrali di alzare l’inflazione nei territori dalle stesse presidiati al livello desiderato impone agli economisti la necessità di avanzare tesi giustificative, aprendo le porte a nuove interpretazioni. In questo modo l’articolo fa comprendere, al lettore attento, che il dibattito non è altro che uno scontro tra la politica e la finanza, lasciando fuori il bene comune e il genere umano: la MMT viene liquidata in modo sospetto come una teoria capace di presentare come credibili strampalate teorie economiche e che i partiti italiani non dovrebbero faticare a inserire la MMT nel loro bagaglio di proposte anti-sistema.

Quest’ultima possibilità viene contrastata richiamando i politici alla responsabilità che addossa loro la MMT nel caso debbano fare politiche deflattive, che oggi invece incombe sull’indipendenza delle banche centrali.

Le preoccupazioni della Bce affermano che l’Italia e gli altri Paesi con alto debito hanno mancato l’obiettivo di ridurre il disavanzo strutturale e perciò non hanno margini per affrontare la fase di rallentamento congiunturale che si profila. I Paesi in questione, che hanno un rapporto debito/Pil oltre il 90% – Portogallo, Belgio, Italia, Francia e Spagna  – non possono evitare di inasprire le politiche di bilancio nella prossima fase di rallentamento, con conseguenze sulla capacità di tenuta dell’intera area dell’euro. Nessun accenno viene fatto alle proprie responsabilità, nemmeno in tema di inflazione, incessantemente inferiore ai dati programmati; anzi, si sostiene che essa sarà sostenuta dalle misure di politica monetaria della Bce, dal perdurare dell’espansione economica e dalla più vigorosa dinamica salariale.

In tema d’inflazione rileviamo che un aiuto è venuto dalla chiusura all’importazione del greggio dall’Iran imposta ai suoi alleati dal presidente americano, che ha comportato un innalzamento dei prezzi dei carburanti superiore al 20%.

Questi aspetti, apparentemente non legati l’uno all’altro, vanno letti congiuntamente. Gli economisti hanno inebriato delle proprie tesi la popolazione, inducendola a pensare acriticamente secondo quanto da loro proposto. E’ evidente che il potere economico, nelle democrazie, prevale su quello politico perché il denaro ha la capacità di schiavizzare l’uomo e perciò lo induce a sottostare alla collusione. Se la produzione del denaro viene demandata al potere economico non si fa altro che rafforzarlo, ed è interesse del potere economico continuare a soggiogare l’intera popolazione.

Questa deve far riflettere su cosa sia un pezzo di carta stampato dalla banca centrale. Se si presentasse in un negozio un cittadino ruandese e volesse pagare con il franco ruandese cosa accadrebbe? E con il bitcoin? Forse in quest’ultimo caso ci sarebbe una maggiore disponibilità, ma solo perché, com’è avvenuto per le tesi economiche, ci hanno malamente indottrinati.

Dobbiamo andare all’essenza delle cose. Se accetto un qualcosa in cambio di un’altra, sono io che attribuisco valore alla cosa che accetto. Invece, nel caso della moneta vengo obbligato ad accettarla e con quest’obbligo ricevo altresì l’onere di fare in modo che altri l’accettino, per cui sono anche obbligato a pagare imposte e tasse. Per togliere tali obblighi basterebbe eliminare la figura del banchiere, il quale, invece, non paga nulla, perché si limita a stampare a costo zero quello che gli viene richiesto di pagare ma, siccome la politica potrebbe avere un sobbalzo, meglio evitare e dichiarare la Bce esente da tassazione attraverso un accordo internazionale, così non si corrono rischi.

Quindi bisogna imparare che né la politica, né la banca centrale deve essere proprietaria della moneta, bensì il popolo che se ne serve. Pertanto, quando il denaro viene creato, non deve essere prestato, ma accreditato al prenditore. Su questa base si fonda la nomismatica, non l’economia, e la moneta non crea problemi di eccedenza o deficienza, salvo eventi catastrofici; però non è colpa della moneta a credito. La moneta, perciò, è un riconoscimento, non l’avallo a un’azione parassitaria.

Comprendendo quello che ho scritto negli ultimi capoversi, si capisce perché i disastri causati dai dirigenti bancari non hanno inciso negativamente sulle loro buonuscite: il denaro per loro non costava nulla, l’importante era addebitarlo a coloro che partecipano al processo produttivo.