Caro direttore,
la reazione del premier Giuseppe Conte alla pronuncia della Consulta sul fine vita ha fatto naturalmente rumore. Parole per nulla di circostanza, anzitutto nel tempismo e nell’affermazione: “Non credo che esista un diritto al fine vita”.
Si è trattato di una manifestazione di pensiero sicuramente legittima: come tutte quelle che è libero di esprimere ogni cittadino di una repubblica democratica. Nel merito, è indubbio che l’opinione sia risultata gradita a tutti i soggetti perplessi e preoccupati dopo la “non punibilità” dichiarata per chi ha aiutato Dj Fabo a morire. Segnali immediati di contrarietà sono giunti fra l’altro da vescovi e laici cattolici, mentre un chiaro disappunto è filtrato anche dalla Santa Sede: il cui endorsement è stato decisivo un mese fa per la conferma di Conte a Palazzo Chigi a capo di una maggioranza “ribaltata”.
È a questo punto – e non solo – che il cortocircuito dell’“avvocato del popolo” scatta tuttavia inevitabile. Il cittadino Conte – chiaramente poco convinto delle aperture della Corte costituzionale sul fine vita – è il premier pro-tempore del Paese: il punto di coagulo di una maggioranza parlamentare e in quanto tale il soggetto che la Costituzione indica come primo motore politico di ogni iniziativa di legge, di ogni progetto di riforma oltreché di ogni atto di governo.
Alcuni interrogativi – al di là del caso specifico – sembrano quindi imporsi in fase di collaudo del Conte-2. A che titolo parla l’“avvocato del popolo”, non eletto, “sintonico” ma non organico con M5s? A che titolo ha ventilato riserve sulla pronuncia della Consulta?
Se ha parlato da premier, la “notizia” sarebbe che il governo intende presentare un disegno di legge sul fine vita: in chiave restrittiva – parrebbe di capire – quanto meno rispetto agli entusiasmi che hanno accompagnato la sentenza in vasti settori politico-sociali. Fra questi, tuttavia, spiccano settori del Paese che si ritrovano nella maggioranza parlamentare del Conte-2: Pd e Leu in testa (M5s, come per molti punti dell’agenda-Paese, non è dato sapere con certezza).
Conte ha dunque anticipato gli orientamenti politici della sua maggioranza? In caso contrario, perché ha voluto calare subito la sua “opinione personale”? Per rimarcare in anticipo la sua distanza da un possibile esito legislativo “personalmente sgradito” sul fine vita? Oppure la finalità è condizionare in corsa – da Palazzo Chigi – il confronto politico in un Parlamento in cui la democrazia elettiva gli nega ogni titolo di partecipazione? E questo solo per “coscienza personale” o con intenti politici? Se comunque un premier fatica a riconoscersi nella sua maggioranza parlamentare su una grande riforma, perché è premier? Tanto più se – puntualmente – spicca il suo status di privato cittadino.
Conte “italiano semplice” ha d’altronde dimostrato un’indubbia capacità di attrarre consenso da parte di leader internazionali. Il più famoso dei recenti endorsement – il tweet del presidente Usa Donald Trump – è giunto dopo che il premier italiano (già dimissionario) avrebbe appoggiato al tavolo del G7 di Biarritz l’iniziale proposta Usa di riammettere la Russia al tavolo dei Grandi. Una posizione formalmente “italiana” espressa a che titolo in quella sede dal premier non eletto, dimissionario, eccetera? E a che titolo – qualche giorno prima – lo stesso Conte-1 aveva attaccato sul piano politico e personale in Senato il senatore Matteo Salvini, in quel momento suo vicepremier in carica? A che titolo – qualche settimana prima – Conte ha inequivocabilmente negoziato allo stesso tavolo (il Consiglio dei capi di Stato e di governo Ue) le nomine europee e il ribaltone politico in Italia?
A che titolo parla il premier italiano in carica, ogni volta che parla? Di quale “popolo sovrano” è avvocato-in-capo? Quale maggioranza – prima ancora che quale minoranza d’opposizione – vigila su questo privato cittadino senza alcuna esperienza parlamentare o di governo, ritrovatosi in sequenza premier di due governi antitetici? Ora perfino con qualche inclinazione ai “pieni poteri”.