Dice Giovanni Orsina nel suo ultimo libro edito da Rubbettino Una democrazia eccentrica che l’Italia stenta a riconoscersi perché si sente strana. O si sente strana perché stenta a riconoscersi. E non riconoscendosi non riesce a immaginarsi stretta in un disegno unico nazionale che la rappresenti tutta.

Naturalmente il politologo della Luiss è molto più sottile e raffinato del rozzo giornalista che cerca d’interpretarlo. Ma il succo del ragionamento è su per giù quello descritto ed è il motivo per il quale qui vince la frammentazione più che altrove con partiti e partitini divisi su praticamente tutto.



Divisi perfino sulle regole del gioco che infatti cambiano così velocemente da non dare il tempo di abituarsi, ciascuna parte provvisoriamente vincente provando a forzare il gioco a proprio vantaggio o in tale presunzione. Ogni giro della giostra si mostra differente da quello che l’ha preceduto.

Ecco spiegato il carattere eccentrico della nostra democrazia che così facendo rischia di scadere in demagogia se scaduta non è già e ci sarebbero molte ragioni per crederlo. L’un contro l’altro armati i nostri politici perseguono pertanto obiettivi di breve periodo con traiettorie spesso incomprensibili.



Tutto questo nonostante lo sforzo unificante del salvifico Mario Draghi che ha assunto la guida del Governo in un momento di grande confusione istituzionale mentre il Paese si accingeva ad affrontare la prova del Piano di ripresa e resilienza sotto gli occhi preoccupati dei più o meno scettici partner europei.

Sotto il coperchio pietosamente calato dall’ex banchiere centrale la pentola della politica non ha mai smesso di bollire. Ma almeno si sono attutiti i brontolii e qualcuno avrà potuto pensare che questa volta ci si sarebbe potuti fidare delle cicale italiche alle prese con 200 miliardi d’investimenti.



Senonché la pandemia prima e poi la guerra mentre consigliano di mantenere fermo un assetto che per quanto provvisorio è funzionale allo scopo di ottenere i fondi e spenderli bene forniscono allo stesso tempo elementi di differenziazione che ben si prestano a essere utilizzati in chiave elettorale.

Non è facile proseguire per questa strada. L’incidente può manifestarsi a ogni curva e chi guida deve stare molto attento a non farsi condizionare da chi pretende di indicare il percorso senza sapere dove andare. Si cammina un po’ alla cieca confidando nell’abilità del conducente e nel fatidico Stellone.

Naturalmente la forzosamente disciplinata compagnia non vede l’ora di potersi sbizzarrire lasciando a piedi l’autista e abbandonando la retta via per imboccare le tanto desiderate strade laterali. Ma non è ancora il momento anche se le avvisaglie del rompete le righe cominciano a farsi percepire.

Le cronache di questi giorni confermano l’analisi. I richiami del premier per il mantenimento degli impegni assunti con l’Europa (alla quale dovremo restituire i soldi ricevuti in prestito) si fanno nervosi e pressanti. Si preannunciano nuove fiducie sul voto se i tempi non saranno rispettati.

Le posizioni in campo rispecchiano il gioco dei quattro cantoni con i protagonisti che si scambiano di posto secondo gli argomenti. Sugli aiuti all’Ucraina, per esempio, un pezzo della maggioranza (Lega e 5Stelle) critica la linea del Governo cui appartiene e l’opposizione (Fratelli d’Italia) invece l’appoggia.

L’incoerenza diventa quindi il tratto dominante del carattere nazionale che sfugge alla comprensione dei più e soprattutto di chi ci guarda e giudica da fuori. Un’incoerenza così radicata diffusa e convinta che diventa coerenza e ci rende unici e irripetibili. Allegri e divertenti, da non prendere mai troppo sul serio.

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