Un noto giornalista è finito negli ultimi giorni nel mirino dei colleghi di altre testate in quanto evasore seriale (14 anni) del contributo annuale all’Ordine dei giornalisti, un paio di migliaia di euro. La schermaglia è parsa subito un po’ pretestuosa, guadagnando a caldo al giornalista numerose manifestazioni di solidarietà. È vero che lo stesso è da tempo al centro di un dibattito più strettamente professionale – alimentato anche dai suoi colleghi nel grande quotidiano per il quale scrive – per altre ragioni: la sua instancabile produzione di interviste, commenti, retroscena tutti ferocemente critici contro la politica economica del governo Conte, ai limiti del tifo aperto per le sanzioni europee e di mercato; e non da ultimo per i suoi noti legami con la Fondazione Open Society del discusso finanziere George Soros.



Questo premesso, il collega in questione ha dapprima ammesso l’inadempienza contributiva all’Ordine, provvedendo a sanarla immediatamente. Ma di fronte a nuovi attacchi, ieri ha alzato il tiro della sua linea difensiva, citando Luigi Einaudi e una sua antica proposta di abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Il suo account Twitter è stato subissato di commenti critici: non senza sollevare questioni che paiono superare lo specifico affaire. 



Einaudi, anzitutto, è stato uno dei più grandi economisti europei del XX secolo ed è stato il primo Presidente delle Repubblica italiana eletto dopo la nascita della democrazia costituzionale. I suoi editoriali sul Corriere della Sera – fino a prima dell’affermazione del fascismo – sono una delle testimonianze più alte di un’Italia liberale che non ha accettato la dittatura, ma ha confidato con pazienza spesso disperata che il Paese la superasse (in questo il cammino di Einaudi è stato lo stesso di Alcide De Gasperi: e la ricostruzione dell’Italia vinta e distrutta fu infatti affidata a questi due statisti). 



Fra i principali interessi di studio di Einaudi c’era la scienza delle finanze: cioè l’analisi macroeconomica dell’imposizione fiscale. L’articolo 53 della Costituzione – “Tutti sono chiamati a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” – è stato scritto da una Costituente di cui Einaudi fu uno dei protagonisti assoluti. Tanto avrebbe dovuto anzitutto mettere in guardia il giornalista – peraltro successore di Einaudi sul column del Corriere – dal chiamare in causa un personaggio di questo profilo per difendere una propria evasione contributiva. E infatti fra le controrepliche più secche, ieri su Twitter, si poteva leggere: “Facciamo così, ora provo a non pagare l’Imu 14 anni di fila, vediamo come finisce. Io sono per l’abolizione dell’Imu, quindi…”.  La lotta all’evasione fiscale è fra l’altro una barricata sulla quale si sono attivamente ritrovate nelle ultime settimane voci diverse: l’ex direttore dello stesso Corriere, Ferruccio De Bortoli, il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, e il Fatto Quotidiano, quotidiano vicino a M5S.  È invece la Lega – impegnata frontalmente contro l’Ue rigorista, sotto gli strali dei commentatori globalisti – che sta difendendo una linea di maggior flessibilità contributiva, fra flat tax e ipotesi diverse di “pace fiscale”.  È stato Matteo Salvini a ventilare l’abolizione dei parametri di Maastricht, pur di scrollare di dosso all’Italia da anni di inadempienze della finanza pubblica verso “l’ordoliberismo” dell’euro. 

Non da ultimo: è l’ente previdenziale dei giornalisti italiani – l’Inpgi, nato assieme all’Ordine riformato negli anni ’60 – a registrare in questi giorni un serio squilibrio dei conti: derivante dalla crisi industriale del settore, ma anche da fenomeni di evasione contributiva. E sono i giornalisti italiani – compatti sotto un doppio cappello corporativo: Ordine e sindacato unico – a invocare il salvataggio pubblico del loro ente e – più in generale – dell’intera “libertà di stampa” in Italia. Anche per questo da mesi la Presidenza del Consiglio ha aperto gli Stati Generali dell’Editoria, presieduti dal sottosegretario delegato alla Presidenza, il pentastellato Vito Crimi: che vuole un confronto approfondito sulle reali esigenze di cambiamento dell’editoria giornalistica nazionale prima di valutare nuove provvidenze pubbliche. E Crimi non ha mai fatto mistero di considerare obsoleto l’Ordine professionale in una democrazia economica di mercato. Una posizione peraltro analoga a quella dell’economista-giornalista liberale Einaudi: che non tollerava, nell’Italia repubblicana, la sopravvivenza dell’Albo pensato negli anni Venti da un premier-giornalista, preoccupato di ingabbiare subito la stampa italiana.

La posizione di Crimi è da sempre duramente contestata dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi che, spalleggiati dagli editori della Fieg, si sono spinti a disertare – in stile aventiniano – la più recente sessione degli Stati Generali. L’Ordine dei giornalisti ha così ingrossato le fila del “partito dei Disobbedienti” all’attuale maggioranza di governo, ma nel contempo è emerso che un giornalista – fiero avversario della stessa maggioranza  – ha disobbedito strutturalmente alle regole contributive di appartenenza professionale allo stesso Ordine e reagisce ora alle accuse di disobbedienza rilanciando il “bombardamento finale al quartier generale”: quell’Ordine che peraltro i giornalisti italiani considerano la trincea mediatica contro i (presunti) “nuovi fascismi”. 

Piacerebbe davvero leggere – sul Corriere della Sera – un solo editoriale di Einaudi.