Caro direttore,
Emma Bonino, dunque, è intenzionata a stare all’opposizione del governo Conte 2, pur essendo stata eletta senatrice con l’appoggio determinante del Pd. Come i dem e come M5s, peraltro, anche +Europa, la forza politica guidata dalla leader radicale, davanti al ribaltone politico si è ritrovata in preda a convulsioni e conflitti interni.



Il mini-partito (dichiaratamente europeista) si è spaccato sull’ipotesi di entrare nella maggioranza giallorossa filo-europeista dopo 15 mesi di opposizione all’esecutivo gialloverde anti-Ue. La leader ha – almeno per ora – rifiutato il suo sostegno, assieme a Benedetto Dalla Vedova. Voteranno sì, invece, tre altri parlamentari, fra cui Bruno Tabacci, l’ex presidente Dc della Regione Lombardia trasmigrato in tutte le formazioni cattolico-centriste per approdare infine a +Europa. Sotto queste insegne, Tabacci ha comunque conquistato una vittoria di estremo significato a Milano centro, nel cuore della Salviniland: del tutto naturale che voglia rimarcare il suo contributo alla crociata “di liberazione del Nord”.



“Sei come la Meloni”, hanno deplorato i compagni di partito della Bonino: stupiti della scelta di un’ex commissaria Ue (designata a Bruxelles con Mario Monti dal governo Berlusconi 1, auspice il Quirinale poi “ribaltonista” di Oscar Luigi Scalfaro) e di un’ex ministro degli Esteri nel governo Letta, con la forte sponsorship del Quirinale di Giorgio Napolitano.

Nell’ultima veste è stata proprio la Bonino a firmare per l’Italia i controversissimi Accordi di Dublino: quelli con cui sei anni fa la Ue delegò l’Italia a “primo sbarco” dei flussi migratori dall’Africa del Nord. Ed è stato in base a quei protocolli che – ha confermato la stessa Bonino – il governo Renzi ha potuto beneficiare di una relativa flessibilità Ue sui conti, poi subito ritirata con l’avvento del governo gialloverde.



Ora la Ue sembra intenzionata a riaprire i cordoni dei bilanci, naturalmente in cambio di un’inversione a U sulla gestione degli arrivi da parte di un’Italia che sbarchi la Lega dal governo e reimbarchi il Pd. Si profila, in ogni caso, un più che apparente “ritorno a Dublino”.

Come mai proprio ora Bonino non sembra volerne sapere di salire a bordo di un governo italiano nuovamente amico delle Ong francesi e tedesche? Forse non le è stato chiesto? O peggio: qualcuno ha posto qualche veto? Anche dentro o attorno al governo “dei governi stranieri” c’è qualche imbarazzo di troppo nel ripresentare in squadra la “candidata di George Soros”?

Non ha sorpreso, ad ogni buon conto, che proprio nell’editoriale del Corriere della Sera di ieri, l’ex direttore Paolo Mieli abbia espressamente citato Bonino assieme a Silvio Berlusconi. A metà fra previsione e auspicio, Mieli ha prospettato in tempi brevi l’ingresso di +Europa e di Fi almeno in posizione di appoggio esterno al Conte 2. Al quale – nonostante l’impegno “di legislatura almeno fino al 2022” – ogni giorno sarà probabilmente indispensabile a sopravvivere ogni voto parlamentare “utile” e “responsabile”. E poi questo “accrocchio incolore che si accinge (forse) a governare l’Italia” (copyright Ferruccio de Bortoli) sembra aver bisogno da subito di una ripulita d’immagine, di relazioni, di reale affidabilità internazionale.

Possibile che all’avvocato Conte non sia ancora venuto in mente di proporre Bonino come minimo per il ministero degli Affari europei? O anche per la Difesa: a sostituire la capitana Trenta, che non è ancora chiaro se sia veramente pronta a “de-salvinizzare” i porti mediterranei e a ripristinare i sevizi regolari della Marina militare nel Canale di Sicilia. 

PS: la giornata di ieri ha registrato due altre prese di distanza non scontate dal parto del Conte 2. In mattinata, sempre sul Corriere della Sera, Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, si è scagliato contro la consultazione decisa da M5s sulla piattaforma Rousseau. Gli ha fatto eco, su Repubblica, il collega Giovanni Maria Flick, presidente emerito della stessa Consulta. Evidente lo sforzo di difendere il Quirinale, che si è prodigato oltre misura perché il nuovo governo nascesse con il massimo di forza e credibilità. Meno evidente il malumore di due illustri costituzionalisti che nell’ultimo anno hanno instancabilmente preso di mira Matteo Salvini come presunto portatore di “illiberalità” nel Conte 1. Ora Salvini è stato defenestrato e nella maggioranza torna il Pd. Ma – per qualche ragione – per Cassese, Flick e molti altri non è affatto the finest hour, “l’ora più bella” vissuta da Winston Churchill l’8 maggio del 1945. Il vincitore di Hitler, peraltro, già il 5 luglio non era più premier di Sua Maestà: i britannici affidarono infatti il dopoguerra al laburista Clement Attlee. Dopo libere elezioni, d’intende.