L’evento per i trent’anni di Stoà è servito, sì, a rilanciare l’offerta formativa di una delle pochissime scuole di alta formazione – se non l’unica rimasta in vita – del Mezzogiorno, ma soprattutto ha fornito l’occasione per tornare a parlare di rilancio del Sud con chi quella scuola ha voluto quando era al comando dell’Iri e qualche capacità di proposta continua ad averla proprio mentre la Questione Meridionale sembra tornare di moda: Romano Prodi.



L’ex presidente della Commissione europea, già premier in Italia, conosce bene le potenzialità della parte bassa del Paese che tanto male riesce a fare a se stessa nonostante la capacità, la vivacità e la competenza dei tanti giovani – e meno giovani – che la abitano. Il Rapporto Svimez diffuso solo qualche giorno fa ci rimanda a una realtà caratterizzata da recessione economica, svuotamento demografico, desertificazione industriale.



Un quadro fosco che le notizie delle ultime settimane – come quelle relative alla Whirlpool di Napoli e all’ex Ilva di Taranto – non fanno che incupire, se possibile, riempendo di nero i pochi spazi luce ancora visibili. Occorre reagire. Ma come? Partendo dalla consapevolezza che il Mezzogiorno – con l’Italia intera – è molto meglio sia di come si autopercepisce che di come viene visto dall’esterno. Ma è il primo a non credere nelle proprie potenzialità.

Troppi fallimenti, troppe delusioni, troppi disincanti. Ci vorrebbe qualche successo a tirar su il morale. Non di quelli individuali, di cui possiamo raccontarne tanti, ma di gruppo: di comunità. Per ripetere le parole di Prodi, accanto ai tenori dovremmo poter schierare qualcuno che sappia cantare in coro. Una specialità nella quale di certo non eccelliamo concentrati come siamo a inseguire successi personali invece che di gruppo.



La crisi, che dura da così tanti anni da essersi tramutata nella nuova normalità, non ha fatto che accentuare questa caratteristica avendo perso tutti e ciascuno fiducia nel sistema prim’ancora che in se stessi. I giovani vanno via. E lo fanno con molta meno sofferenza dei padri e dei nonni perché portano con loro conoscenze e abilità al posto delle scarpe rotte e delle valigie di cartone che ancora resistono nella memoria. Il mondo non finisce più alla porta di casa.

Così facendo, però, si mina alla base la possibilità di invertire la tendenza e restituire al Paese, partendo dalla sua componente più fragile, il destino di successi che di certo è alla sua portata. Le persone, come i capitali, provano attrazione per luoghi accoglienti e regole rispettabili: nel doppio senso di possibili e condivise. Mentre da noi sperimentiamo ogni giorno di più la fatica di muoverci in un ginepraio del quale ci sentiamo prigionieri.

È fin troppo evidente che un ambiente del genere fiacca i bene intenzionati, sempre più scoraggiati a intraprendere, e premia i malintenzionati che nel caos si trovano a proprio agio e della poca chiarezza fanno la loro forza. Non mancano certo le eccezioni, ma finché il modello di riferimento andrà a vantaggio della slealtà sarà difficile che i comportamenti virtuosi possano avere la meglio su quelli opachi e in senso largo delittuosi.

Queste riflessioni accompagnano il Manifesto per il Sud promosso dall’ex ministro Claudio De Vincenti che dopo il battesimo napoletano è stato illustrato a Milano alla presenza del sindaco Giuseppe Sala, raro esempio di pragmatismo al potere. “Meridione-Italia” diventa “Merita” nella contrazione proposta e il nome è già indicativo di un programma. Così semplice da sembrare rivoluzionario solo che si voglia passare dalle parole ai fatti.