Nei giorni scorsi si sono chiuse due annose questioni che, però, messe insieme valgono più di 17 miliardi di euro.

I fatti. Nel 2016 l’Ue chiede ad Apple di restituire 15 miliardi di euro per avere usufruito di pari benefici fiscali dall’Irlanda. Nel 2017 Google si vede recapitare una sanzione di 2,4 miliardi dall’Antitrust dell’Unione per avere “sabotato” i comparatori di prodotti suoi concorrenti.  Risultato finale: 17 a zero per l’Ue. Un dato maturato dopo le sentenze della Corte di giustizia europea.



Queste le ultime notizie dal “fronte di guerra”, quel conflitto che vede opposti stati e Big Tech e che proprio in quegli anni erano venuti allo scoperto con scandali come quello di Cambridge Analytica-Facebook;. Questo significa che sono ormai otto anni che con diverse strategie i Governi di tutto il mondo si confrontano con questi nuovi poteri privati che per la prima volta nella storia hanno sfilato agli Stati il controllo della “tecnica” dominante. Erano riusciti a stroncare la Standard Oil nel settore petrolifero e avevano avuto successo nel tenere il pieno controllo sul nucleare. Questa volta per molte ragioni non ci sono riusciti. Tuttavia, è interessante rilevare come i soggetti politici più rilevanti abbiamo dispiegato le rispettive strategie.



La Cina ha risposto con la sua via “socialista” al capitalismo: rigido controllo di stato sulle aziende del settore, blocco degli operatori non cinesi, autarchia tecnologica. L’Unione europea, “moscerino tecnologico” per l’assenza di grandi operatori del settore, ha sviluppato il più articolato impianto normativo per la regolamentazione del digitale. Per le Big Tech non sottostare a tali regole implica uscire dal più grande mercato di consumatori alto spendenti del mondo. Gli Stati Uniti hanno adottato una bassa intensità di regolamentazione, forti del fatto che i principali player sono proprio statunitensi, scegliendo una via che potremmo definire di “intreccio di interessi e obiettivi”. Intanto le Big Tech stanno assumendo il ruolo di una sorta di “meta-Stato” che detta regole tecniche e norme comportamentali incontestabili in quel mondo digitale.



Mi ricorda tanto il “dispotismo mite” teorizzato da Tocqueville. Un potere assoluto a cui non serve la coercizione, bensì produrre un generale “ottundimento divertente”. Il “capolavoro” di questa forma di capitalismo è aver trasformato l’individuo in un consumatore (al di qua dello schermo) – consumato (al di là dello schermo) offrendogli contemporaneamente “un Eldorado di nuove occasioni e di avventure”.

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