Il primo via libera al cantiere di “Coalizione Semaforo” fra Spd, Fdp e Grunen dopo il voto tedesco di tre settimane fa non era scontato: certamente non in tempi così brevi (almeno per quelli della politica tedesca). Non è detto, peraltro, che un nuovo Governo – prevedibilmente guidato dal leader socialdemocratico Olaf Scholz, vicecancelliere uscente di Angela Merkel – possa insediarsi già entro Natale.
Al netto dei pignolissimi “contratti di governo” d’uso in Germania (ed è la prima volta che si sta saldando una maggioranza parlamentare di più di due partiti), ciò avverrà con tutta probabilità come atto di riguardo nei confronti di “Mutti Angela”: che lascerebbe la cancelleria di Berlino aggiudicandosi il record di permanenza ininterrotta nella storia tedesca del dopoguerra. Un suggello ulteriore nella galleria degli otto cancellieri tedeschi dal 1949, nessuno dei quali è stato un “signor nessuno”: da Konrad Adenauer a Merkel (nata nella Germania Est), passando per calibri come Willy Brandt, borgomastro di Berlino alla costruzione del Muro, e come Helmut Kohl, artefice della Riunificazione e patron dell’euro.
Non si tratterebbe comunque di pura “noblesse oblige” verso il primo cancelliere “rosa” a Berlino. La 66enne Merkel è già fin d’ora molto più di una “riserva della Repubblica”: non solo di quella federale tedesca, ma dell’Unione (democratica) europea. E non è casuale che la quasi-svolta interna in Germania sia coincisa con una escalation di voci sulla possibilità che Merkel possa assumere l’incarico di Segretario generale della Nato.
La poltrona – oggi occupata dall’ex premier norvegese Jens Stoltenberg – è riservata a un ex capo di governo europeo: per questo nel gossip-ballon d’essai sono via via entrati (sebbene con chance nulle) anche i nomi italiani di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Per l’ex “Premier Ue” Merkel si profilerebbe un incarico di medio peso geopolitico e di prestigio poco più che minimo: benché la Nato sia oggi uno dei tavoli strategici nella ricostruzione di un “ordine mondiale” dopo la pandemia, in realtà dopo la fase di instabilità innescata dalla crisi finanziaria del 2008.
Merkel, tuttavia, potrebbe fin d’ora agevolmente ambire ad altri incarichi very-high-profile: dalla Presidenza della Repubblica tedesca (altamente simbolica ma poco più che rappresentativa) alla Segreteria generale dell’Onu, istituzione però parecchio usurata in termini di blasone e potere reale. Non è affatto escluso, tuttavia che nel futuro di “Angela” vi sia ancora l’Europa.
Se il ciclone-Covid non si fosse abbattuto dalla Cina anzitutto sull’Ue sarebbe oggi aperto già da 18 mesi un tavolo di revisione del Secondo Trattato Ue, firmato trent’anni fa a Maastricht, trentaquattro anni dopo il Primo Trattato di Roma. Il focus sarebbe stato – attende ancora di essere – la riforma della governance dell’Unione economico-monetaria, nel frattempo integrata dall’Unione bancaria e da un “fiscal compact” che tuttavia non ha ancora davvero aggiornato gli originari “parametri di stabilità”. Il cantiere di riforma era stato formalmente annunciato da Merkel assieme al Presidente francese Emmanuel Macron, a valle dell’eurovoto 2019 e del rimpasto degli organigrammi Ue. Poi il Covid lo ha bruscamente tolto dai tavoli europei, rimpiazzato da un altro dossier: che ha preso poi il nome definitivo di “Recovery Plan”.
Le linee-guida di quel piano le ha tracciate Mario Draghi, da poco former president della Bce: alla vigilia del primo, drammatico summit dei Capi di Stato e di governo Ue dopo lo scoppio della pandemia. Oggi il Recovery Plan è il timone della politica Ue fino al 2027: avendo ricompreso anche il NextGenerationEu, cioè la piattaforma strategica della doppia transizione digitale e ed energetica. E a fine 2021 Draghi è il Premier italiano e di fatto il più autorevole leader del momento della Ue-26 (a proposito: mentre Polonia e Ungheria sembrano in traiettoria centrifuga, la Gran Bretagna sta mostrando decisi segni di distensione verso l’Europa continentale post-Brexit) .
Fra due settimane sarà Draghi a ospitare e presiedere a Roma un G20 cruciale per il superamento di una fase di crescenti tensioni politico-economiche globali. La Germania sarà ancora rappresentata da Merkel: e non è affatto escluso che dal summit esca anche la futura destinazione della “cancelliera di ferro”. Certamente candidata a un possibile “triumvirato” europeo con Draghi e Macron: se quest’ultimo sarà rieletto all’Eliseo nella prossima primavera. Ma con “Angela & Mario” in campo tutto sarebbe probabilmente più facile.
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