Ma, alla fine, esiste il Grande Vecchio (o la Grande Vecchia con tutte le possibili varianti per stare nello scomodissimo politicamente corretto)? Esiste un’entità singola o collettiva, palpabile o impalpabile, buona o cattiva che orienti il flusso delle idee e dei comportamenti spingendo le persone e la società (le società) verso direzioni desiderate e con esiti che non siano lasciati al caso?



La domanda non sorge spontanea ma si impone in questi giorni di rallentata attività lavorativa, per chi non sia impegnato sui fronti caldi, dopo la lettura e la conseguente messa a sintesi di informazioni e considerazioni notevoli. Il mondo sembra impazzito e noi con lui. Anche perché sembra si sia persa la capacità di leggere e interpretare quel che accade con il filtro della coerenza.



Un sondaggio di Alessandra Ghisleri rivela che il 70% degli italiani nonostante tutto si sente soddisfatto della vita che conduce mostrando confortanti dosi di ottimismo. Gli stessi intervistati, tuttavia, diventano pessimisti quando devono valutare come vanno le cose nel Paese. La loro esperienza di vita personale è buona. Ma se guardano a quello che accade intorno…

Appunto. Se guardano a quello che accade intorno hanno ragione di spaventarsi. Allora la domanda diventa: chi ci mostra quello che accade intorno? Giuseppe De Rita, sociologo acuto e mai banale, risponde che a influenzare la nostra opinione sono i mass media, i social e gli amici a loro volta influenzati allo stesso modo in un moto circolare che ci rende un popolo di guardoni fifoni.



Sì, fifoni, aggiunge Federico Rampini, giornalista e scrittore di successo, perché abbiamo perduto fiducia in noi stessi facendoci condizionare da tutte le considerazioni malevoli che riserviamo al nostro stile di vita occidentale come se dovessimo farci perdonare i pensieri e le azioni che ci accompagnano dal peccato originale in poi avendo maturato una pessima opinione di noi.

E allora dobbiamo recuperare un po’ di coraggio, suggerisce la storica Lucetta Scaraffia sulla Stampa, perché non siamo così male come ci dipingiamo e ci pensiamo. Perché noi italiani ed europei, nonostante i difetti che abbiamo, siamo ancora i più strenui difensori della democrazia e della libertà anche se ce ne vergogniamo invece di farne un punto di orgoglio e di forza morale.

Dovremmo portare in alto il vessillo della nostra millenaria cultura di tolleranza e ragionevolezza piuttosto che essere motivati dal desiderio di calpestarla e cancellarla questa cultura che altri attaccano per renderci deboli e indifesi. È come se fossimo sospinti da un folle movimento di autodistruzione che ci consegna alla storia come quelli brutti e cattivi, da punire.

Così non va. E dovremmo cercare di capire come si sia arrivati a questa deriva che ci porta fuori della storia che abbiamo contribuito a creare con la nostra intelligenza e i nostri sacrifici. I valori in cui abbiamo sempre creduto e che ci hanno gratificato del ruolo di faro della civiltà non sono più fonte d’ispirazione ma di mortificazione. E godiamo nel flagellarci da soli e l’un con l’altro.

Così, per esempio, noi europei siamo responsabili dell’8% dell’inquinamento globale, ma agiamo come se tutto il peso dell’aggressione all’ambiente pesi o debba pesare su di noi. Questo non vuol dire che non si debba collaborare alla ricerca delle soluzioni, ma, facendolo, dovremmo almeno andare fieri della nostra sensibilità e coscienza di cittadini.

Come si è arrivati a misurare il merito con il disprezzo? Chi confeziona per noi quelle suggestioni negative che ci fanno precipitare nel gorgo della colpevolezza? Si tratta di un fenomeno naturale del quale siamo vittime inconsapevoli o esiste qualcuno o qualcosa che ha concepito quel mostro che vediamo in noi anche quando non c’è? Come reagire al virtuale che diventa reale?

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