Pochi giorni fa, mentre passavo davanti al Quirinale per incontrarmi con un amico, venivo informato che avevo salvato il Governo: fatto immediatamente chiarito con il racconto di un collega giornalista che mi spiegava la manovra (alquanto ardita) con la quale, attraverso un marchingegno quasi comico, il movimento del Premier Giuseppe Conte si sarebbe di fatto unito al Maie, quello degli italiani votati all’estero, e di lì sarebbe saltato fuori magicamente un partito in grado di rimpolpare le schiere governative al Senato, e di ottenere la fiducia. E il sottoscritto, soprannominato l’argentino, in pratica era passato lì davanti giusto al momento della creazione del gruppo parlamentare.



A dir la verità questo bonario scherzo (quello dell'”argentino salvatore” si capisce, mica quello dell’accrocco parlamentare) mi ha riportato alla memoria un passato, molto recente, dove il passaggio di due senatori, anch’essi votati all’estero in Sudamerica, aveva permesso la nascita di un Governo Prodi (quello del 2006), e mi sono chiesto se il ripetersi di certi fatti non costituisca un motivo per mettere finalmente un po’ di ordine in un voto tanto chiacchierato e contestato nella sua essenza. Ovviamente non eliminando questo diritto, che è stabilito dall’articolo 48 della nostra Costituzione, che recita: «La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge», bensì riportandolo a quello che dovrebbe rappresentare la sua essenza, e cioè quello di un voto responsabile, anche perché mi pare ingiusto che milioni di cittadini riconosciuti come italiani, ma che spesso non solo non ne parlano la lingua ma di fatto non hanno mai messo piede in Italia e del nostro Paese non sappiano letteralmente nulla, mancando la cultura, possano con il loro voto spesso “manovrato” decidere le sorti di una nazione senza appartenerne fisicamente.



Tempo fa mi ero occupato, in un paio di articoli dedicati, del fenomeno degli italiani fasulli i quali, approfittando di una regola che si rifà all’Italia giolittiana, potevano avere la nostra cittadinanza solo per avere un loro avo che dal 1861 fosse emigrato senza aver preso la nazionalità del Paese che lo ospitava. Tra le tante nefaste conseguenze di questo principio che ormai appartiene solo al nostro Paese c’è quello del diritto al voto, che ovviamente viene svolto senza saper nulla sul suo valore. Ecco però che a sua volta questo fenomeno partorisce condizioni che possono far gola a una politica, come quella italiana, da sempre dedicata ai funambolismi di un sistema che per poter sopravvivere spesso ricorre a un mercato che può registrare conferme o far saltare Governi, quindi politiche nazionali, a causa proprio di improvvisi cambi di casacca o machiavellismi che, pur non avendone il monopolio ovviamente, provengono da questo voto “a perdere” che non ha alcuna radice vera nel nostro Paese, ma costituisce uno strumento “pret a porter” in grado non solo di mutare il nostro futuro ma anche progetti. Come quello studiato pochi anni fa e che modificava il diritto alla cittadinanza italiana conseguibile al massimo dalla seconda generazione, ovvero dai bisnonni: la paura di perdere circa 2.600.000 voti sudamericani, vera spada di Damocle sulla riforma, fece naufragare la cosa.



Ecco, si parla tanto del “dopo Covid” e del Rinascimento di una nazione che ormai da troppi anni vive di politiche di austerità spesso imposte da una Unione europea composta da Paesi a “doppia morale”: ciò ha provocato danni enormi non solo alla nostra economia, ma soprattutto nel sociale, dove sia l sanità che l’istruzione hanno pagato prezzi enormi, i cui effetti, ad esempio nella prima, si sono manifestati in forma allarmante e hanno contribuito non poco alla catastrofe che abbiamo vissuto. Ancora non sappiamo bene come finirà questa tragedia, ma di sicuro le conseguenze sul Paese saranno gravi e tutte figlie proprio di un sistema politico distante dalle esigenze del Paese proprio perché ormai “Stato nello Stato” che pensa solo a mantenersi tale e non a mettere in pratica quelle idee o proposte che spesso sorgono da una popolazione o settori di essa dotati dell’indubbia creatività che fa parte del nostro DNA. La quale però non può arrivare a influenzare una politica schiava dei propri principi non proprio etici ma basati su interessi che hanno il loro simbolo nel disastro del ponte di Genova.

Poi abbiamo assistito alla rinascita di questa importante struttura a tempo di record, ma non alla sparizione di questa filosofia che, per mantenersi, ha bisogno proprio di una massa di voti che possa alimentarne i giochi, come nel caso odierno o altri del passato. Sarebbe ora di dire basta a tutto ciò e mettere bene in chiaro cosa voglia voglia dire l’essere italiani: se ciò deve continuare a significare passaporti elargiti a tutta velocità quasi fossero tessere del Club di Topolino, allora credo che il tanto sbandierato Rinascimento non potrà far altro che generare la solita minestra austera invece che la creazione di una realtà simile a quella che abbiamo vissuto nei mitici anni Sessanta.