A poche ore dal ribaltone al vertice della Spd tedesca – con l’avvento di una nuova leadership più orientata a sinistra – Tony Barber sul Financial Times ha assegnato maggior probabilità a due scenari: elezioni anticipate di un anno in Germania nel 2020 e avvento a Berlino di una coalizione fra Cdu-Csu e Verdi. I Grunen pesano oggi per il 10% nel Bundestag, ma sono accreditati di un grande balzo in avanti al prossimo voto (nel parlamento del Land bavarese hanno già raggiunto il 18%). Hanno drenato voti a una Spd invecchiata e subalterna ad Angela Merkel, ma anche alla stessa Cdu-Csu. E’ comunque la loro ascesa a bilanciare (soprattutto nei Lander occidentali) l’avanzata della destra xenofoba di Afd.



FT non si sente di escludere che i Verdi tedeschi (che sono già stati al governo con Joschka Fischer, vicecancelliere del socialdemocratico Gerhard Schroeder) possano riaffacciarsi a Berlino addirittura con “un ruolo di pivot”: spendendo, ad esempio, Robert Habeck – leader di Alliance 90 – direttamente per la cancelleria. In ogni caso il tramonto finale di Angela Merkel segnerebbe la fine del modello di grande coalizione, mentre per la Germania sembra profilarsi un passaggio epocale a una sorta di “Terza Repubblica”. Una svolta assimilabile a quella seguita al congresso Spd di Bad Godesberg nel 1969, che aprì la strada della cancelleria a Willy Brandt ed Helmut Schmidt.



Nell’immediato, il nocciolo politico-economico di un’agenda condivisa fra cristiani-democratici e verdi si rifarebbe parecchio al manifesto green del nuovo presidente della Commissione Ue, la Cdu tedesca Ursula von der Leyen: un’apertura (finanziariamente controllata) a nuovi investimenti pubblici finalizzati a un salto di qualità ambientalista nell’industria, nella ricerca e nell’education. Ma non mancherebbe – dall’altro lato – una disponibilità verde a maggiori investimenti in sicurezza (von der Leyen è stata ministro della Difesa ed è stata sostituita da Annegret Kramp-Karrenbeuer, attuale leader Cdu). Questo favorirebbe anche la ricerca di una nuova sintonia con il presidente francese Emmanuel Macron, oggi in rotta con Merkel proprio sulla prospettiva di superare la Nato, sempre più malvoluta dagli Usa. Da febbraio, com’è noto, Francia e Germania (che avrà la presidenza Ue nel primo semestre 2021) hanno convocato un’ambiziosa conferenza biennale “costituente” per l’Unione.



E’ presto per capire quali chance ed eventuali modalità realizzative avrà l’ipotesi formulata da FT per la Germania post-merkeliana. I dati politici di partenza sembrano però leggibili, almeno in estrema sintesi. Da un lato, un centro moderato europeista (perno del Ppe) mantiene un ruolo centrale anche se meno egemonico rispetto ai tempi di Helmut Kohl o dell’età d’oro di Merkel. Dall’altro, una storica socialdemocrazia – divenuta obsoleta sul mercato elettorale – viene sostituita dall’affermazione di una forza capace di interpretare in modo aggiornato tutte le istanze politico-economiche “progressiste”: fra knowledge economy, ecologismo, imprenditoria digitale, contrasto a tutte le forze xenofobe, apertura massima sui diritti umani e civili, dentro e fuori la Germania.

Non è difficile osservare quanto il quadro si presenti molto diverso da quello italiano odierno. Qui il “centro moderato” è presidiato dalla Lega, che alle ultime europee ha registrato le stesse percentuali di Cdu-Csu: ma che – significativamente – sta bussando per ora invano alle porte del Ppe (mentre è ormai premuta a destra dall’ascesa del sovranismo hard di FdI). Sul quadrante sinistro è invece facile avvicinare la parabola cedente del Pd a quella dell’Spd. Ed è altrettanto agevole constatare quanto l’originaria vena ambientalista di M5s sia stata una delle molte vittime della travolgente vittoria “populista” alle politiche 2018. I casi Tav e Ilva sono emblematici di tutte le contraddizioni del movimento installato nelle stanze dei bottoni del governo, mentre anche la cifra “modernista” del social-liberal Matteo Renzi sembra irrimediabilmente logorata.

Volendo comunque giocare in Italia col modello “Cdu-Csu/Verdi” non è impossibile, anzitutto, immaginare un’accelerazione della correzione europeista da parte di Matteo Salvini: che difficilmente perderà il sostegno dei ceti produttivi, già chiaramente delusi dal Conte 2. Ma chi potrebbe vestire in Italia i panni dei Verdi tedeschi?

Al momento non si vedono né potenziali agende, né candidati leader e neppure proiezioni elettorali di una minima significatività o interesse. Ci sono, certamente, le “sardine” che hanno preso ad affollare  – ma non in modo strabocchevole – alcune piazze di alcune grandi città. Ma al di là di identificare una generica “Italia migliore” con il contenimento della Lega le sardine non hanno prodotto una singola proposta politica, neppure vaga o elementare (non è chiaro nemmeno se siano favorevoli o no a plastic o sugar tax). E non è detto che le “sardine” – almeno quelle di cui i grandi media costruiscono variopinti collage di fotoritratti – voterebbero i tentativi più strutturati di costruire nuove formazioni di centro: con la speranza di conquistare almeno quel 10% che – nel 2013 – segnò d’altronde la fine prematura di Scelta Civica di Mario Monti.

Il premier Giuseppe Conte – tecnicamente un “grillino moderato” – saprebbe riciclarsi un’altra volta sotto le insegne verdi, staccando porzioni di elettorato all’M5s assistenzialista di Luigi Di Maio? L’ala prodiana del Pd – insoddisfatta del romanocentrismo di Nicola Zingaretti e più attratta dall’Europa di “Orsola” – saprebbe imprimere una svolta verde ai dem? Può Beppe Sala – sindaco-manager della Libera Città-Stato di Milano – scommettere con successo elettorale su una strategia di sviluppo sostenibile, “progressista” ma “governabile”, competitiva con quella di Salvini? Senza magari esserne pregiudizialmente antagonista. Nessuno, alla vigilia del voto 2018, avrebbe puntato su una maggioranza Lega-M5s; che però è maturata e ha governato per un anno. Ora a Palazzo Chigi il Conte 2 è sostenuto da un’altra maggioranza a lungo esclusa dal novero delle possibilità.

Dopo la sconfitta elettorale del 2017, Merkel impiegò sei mesi per costruire il suo quarto gabinetto. Tentò a lungo una nuova coalizione “giamaica” con Verdi e liberaldemocratici (Fdp). Alla fine preferì ripiegare su un partner tradizionale, uscito ancor più malconcio dal voto. Fu decisiva la moral suasion del presidente della Repubblica, Frank Walter Steinmeier: un intervento raro per le abitudini istituzionali tedesche. Ma da allora la “cancelliera d’Europa” non è più riuscita a governare neppure la sua Germania.Tutti in Europa, stanno muovendosi in territori poco conosciuti.