Paese Italia, abbiamo un problema. È banale affermare l’unicità di averne uno soltanto, ma, al momento, il timore (o verosimile certezza) di quanto scovato tra le recenti parole lette sembra rappresentare un futuro e grossolano errore, quindi: un potenziale problema. Nella fattispecie potrebbe trattarsi di un’errata valutazione o, invece (nel migliore dei casi), ci sbaglieremo poiché verremo smentiti dai fatti, dai numeri che, oggi, vogliamo che siano solo nell’interesse di tutti noi italiani. Rimanendo in attesa, confidiamo con il trascorrere dei prossimi mesi. Nel frattempo, la premessa d’obbligo a questo nostro antefatto, attinge dalla celebre e nostrana opera letteraria Promessi Sposi e, in particolare, da un estratto ricavato dal colloquio tra l’avvocato Azzecca-garbugli e lo sventurato Renzo: «All’avvocato bisogna raccontare le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete ch’io v’aiuti, bisogna dirmi tutto, dall’a alla zeta, col cuore in mano, come al confessore». È proprio così: «dall’a alla zeta» ormai divenuto un consueto modo di dire per identificare la conclusione di un percorso prima iniziato (a) e poi terminato (z).
Come ovvio, non sempre ciò accade e, attualmente, quello che sembra poter caratterizzate l’Italia è verosimilmente un tragitto incompleto: partito dall’iniziale lettera A (maiuscola) e destinato a concludersi in coincidenza della lettera V (maiuscola). In fin dei conti si tratta di due semplici lettere, un insieme di tratti grafici, una sequenza di rette con angolature diverse, ma, a ben vedere, l’una contrapposta all’altra fatta eccezione per quel lembo orizzontale in dote alla prima. Ebbene, nella sfera economica-finanziaria, talvolta, per meglio rappresentare le dinamiche registrate (o che si registreranno) vengono adottati alcuni richiami.
Un esempio: chi ha mai sentito parlare di “movimento a V”? Immaginiamo in molti. Nella pratica, e in questo caso specifico, si tratta di una rappresentazione per meglio identificare quanto possa accadere (o sia accaduto) all’indomani di una significativa discesa (prima) e successivo rialzo (dopo). All’opposto, invece, se si dovesse utilizzare la lettera A, si potrebbe fare riferimento al reciproco del precedente movimento, ossia: un iniziale rialzo, seguito da un ribasso. Lecito il quesito: perché queste puntualizzazioni? A che fine? Replica immediata: dalla recente pubblicazione di Istat sulle “Prospettive per l’economia italiana nel 2022-2023” – in chi scrive – è giunto un timore (speriamo infondato) sulle cosiddette “Previsioni” dello stesso Istituto e, pertanto, ecco il problema (sempre se così fosse).
Nel merito: consultando l’intero dossier e soffermandosi unicamente al solo argomento riconducibile alla tanto “cara” inflazione, si apprende: «Si prevede che la crescita dei prezzi dei beni energetici contribuisca a un deciso aumento del deflatore della spesa delle famiglie residenti nell’anno corrente (+5,8%), i cui effetti dovrebbero attenuarsi nel 2023 (+2,6%)». Di fatto nulla di nuovo. A seguire, però, arriva la previsione che vede: «La crescita dell’inflazione è attesa proseguire nei prossimi mesi per poi attenuarsi, anche se con tempi e intensità ancora incerti». Ecco sorgere il dubbio: «tempi e intensità ancora incerti». Infine, completando la lettura, si arriva alla conclusione che: «nel prossimo anno l’inflazione è attesa in parziale decelerazione. Nel 2023, il deflatore della spesa per consumi delle famiglie e quello del Pil sono previsti crescere rispettivamente del 2,6% e 2,0% in media d’anno».
Sintetizzando e semplificando il più possibile quanto riportato si evince un’inflazione pari al 5,8% per il 2022 mentre, un ridimensionamento fino al 2,6% per il 2023. Nel mezzo: «tempi e intensità ancora incerti». È ovvio come una previsione (in quanto tale) non possa essere certa e pertanto l’uso del condizionale è un obbligo. In questo caso, però, tenuto conto dei recenti valori registrati a maggio (+6,9%) si palesa un unico e poco fraintendibile scenario: dopo un primo «deciso aumento del deflatore…» (anno 2022) ci si attende una «parziale decelerazione» (nel 2023) ovvero una dinamica di movimento al pari della sopracitata lettera A (maiuscola). Non solo. Una A che vede (addirittura) il proseguimento del suo tratto a destra ben al di sotto della propria base. Decisamente un quadro incoraggiante in ottica futura.
Ora, invece, lasciamo spazio alla nostra perplessità di fondo: mancano sette mesi al termine dell’anno e, come detto, l’attuale base di partenza dell’inflazione quota 6,9 punti percentuali ma prevista in rialzo. Pertanto, se questo fosse confermato nei fatti, ci chiediamo: è plausibile pensare che dopo questo ulteriore incremento (potenzialmente oltre i sette punti percentuali) si possa assistere a un ripiegamento così accentuato (fino a meno di sei punti) nell’arco di una manciata di mesi? È plausibile sostenere che tale dinamica possa rappresentare uno scenario fin troppo ben augurante? In ultimo: è plausibile ipotizzare – già oggi – che si possa incorrere in un possibile errore di valutazione? Di errori (e della loro ammissione), recentemente, la cronaca ha già riportato: Janet Yellen docet con il suo «piccolo rischio» poi divenuto grande. Nel cosiddetto prevedere e le sue associate previsioni, “l’agire sbagliando” è pressoché sinonimo di certezza. In questo caso, per quanto da noi oggi riportato, se tutto ciò dovesse accadere possiamo temere che si possa (fin da ora) definirlo un problema. Quel problema che, ancora una volta, potrebbe affossare la nostra Italia, quell’amata Italia che, sempre, ha un problema: «dall’a alla zeta».
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