Negli ultimi due anni le politiche economiche dei Paesi sviluppati, sostenute da una massa di risorse finanziarie a basso costo messe a disposizione dalle Banche centrali che non ha precedenti storici, hanno viaggiato su un doppio binario. Il primo rivolto a sostenere le imprese e i redditi delle persone nel corso della pandemia con il concorso di abbondanti risorse pubbliche. Il secondo mirato a riposizionare gli apparati produttivi per renderli competitivi e ambientalmente sostenibili in un’ottica di medio e lungo periodo. Il granello di sabbia che rischia di inceppare gli ingranaggi delle ripresa economica, e la contemporanea tenuta di queste politiche economiche, è rappresentato dalla rapida crescita dei prezzi, in particolare delle fonti energetiche fossili, e da un’intensa domanda di consumi alimentata da un anomalo accumulo di risparmio nel corso della pandemia che non trova corrispondenza nei livelli di offerta di prodotti e servizi.
Per molti mesi le autorità monetarie hanno cullato le aspettative di un rapido rientro dell’inflazione, assecondato dal completo ripristino delle attività produttive e dalla crescita della produttività derivante da un ampio utilizzo delle tecnologie digitali. Negli ultimi tempi il perdurare della pandemia, e delle tensioni geopolitiche che fanno da corollario alla gestione delle forniture energetiche e di molte componenti essenziali per la produzione, portano a ritenere che l’aumento dei prezzi possa essere un fenomeno destinato a perdurare nel tempo. Con effetti destabilizzanti sulla ripresa dell’economia superiori ai vantaggi derivanti dalla disponibilità di denaro a basso costo.
Diversi economisti attribuiscono una parte delle responsabilità all’eccesso degli interventi pubblici e dell’ampio utilizzo dei sostegni al reddito che avrebbero concorso, a loro dire, a un aumento anomalo della domanda di consumi e a disincentivare la ricerca di lavoro da parte dei disoccupati sussidiati.
L’inversione di marcia delle politiche monetarie, anche se graduale, è già in parte programmata. Con essa si riduce la possibilità di espandere ulteriormente, e a basso costo, la spesa pubblica per far fronte alle nuove criticità. A partire dagli interventi finalizzati a calmierare i prezzi dell’energia e a sostenere le imprese e i redditi delle persone.
L’impatto dei fattori che hanno generato la crescita dei prezzi è estremamente differenziato nei singoli Paesi in relazione alla disponibilità di materie prime, ai livelli di indebitamento, alla dotazione di capitale e di competenze idonee a incrementare la produttività per contenere gli aumenti dei costi di produzione.
Per i Paesi aderenti all’Ue le politiche economiche espansive fanno leva sulla sospensione temporanea del Patto di stabilità, per sostenere con nuove risorse pubbliche le imprese e le famiglie durante la crisi Covid, e sulle risorse del Programma Next Generation Eu destinate a potenziare gli investimenti infrastrutturali e la sostenibilità ambientale delle produzioni.
Un’inflazione media che veleggia oltre il 5%, e un ulteriore aumento dei deficit pubblici nazionali per calmierare i prezzi delle fonti energetiche e per sostenere le imprese e le famiglie nel proseguo della pandemia, lascia pochi margini alla possibilità di riformare le regole del Patto di stabilità nella direzione di consolidare una parte dei deficit generati nel corso dell’emergenza sanitaria nell’ambito dei fondi gestiti dalle Istituzioni dell’Ue come richiesto nella recente lettera firmata da Macron e da Draghi.
I riflessi delle tensioni geopolitiche sul fronte dell’approvvigionamento delle tecnologie e delle materie prime stanno stimolando una serie di ripensamenti sulle modalità di gestione della transizione ambientale. In particolare riguardo ai propositi di raggiungere gli obiettivi di contenimento delle emissioni tassando l’utilizzo delle fonti energetiche fossili a prescindere dalla realistica dotazione di energie alternative.
L’attenzione della politica italiana è rivolta all’elezione del nuovo presidente della Repubblica, accompagnata dalla preoccupazione di salvaguardare la continuità dell’azione del Governo in carica e del ruolo di garanzia offerto in ambito nazionale e internazionale dalla figura del presidente del Consiglio Mario Draghi. Una priorità condivisibile, ma che lascia aperto l’interrogativo sul come adeguare le nostre politiche economiche tenendo conto delle novità intervenute in ambito internazionale.
Allo stato attuale sul tappeto c’è la richiesta della Lega, sostenuta dal Pd, di approvare uno ulteriore sforamento del livello del deficit pubblico approvato recentemente Parlamento con la Legge di bilancio, per erogare nuovi ristori alle imprese dei comparti dei servizi penalizzati dalle nuove misure anti-Covid, per ripristinare la cassa integrazione in deroga per i lavoratori delle medesime imprese, per contenere i costi dell’energia delle aziende e delle bollette delle famiglie meno abbienti.
Il tutto sulla base del presupposto che la spesa aggiuntiva sia resa sostenibile da una crescita economica che si mantiene al di sopra delle migliori aspettative, trascinata dal rapido recupero della produzione manifatturiera, dall’aumento delle esportazioni e degli investimenti nel settore delle costruzioni.
I punti di forza della nostra economia non devono essere sottovalutati, ma altrettanto non devono essere sottovalutati: la nostra dipendenza dalle fonti energetiche, l’evidenza di un nucleo consistente di aziende che stanno riducendo l’attività per via dell’insostenibilità dei costi di produzione, la produttività negativa che continua a caratterizzare buona parte dei comparti dei servizi, la debolezza del nostro mercato del lavoro che continua a essere assistito da corposi sostegni al reddito. Un ulteriore aumento dei prezzi, oltre che svalutare i risparmi, rischia di compromettere la tenuta delle politiche salariali e le condizioni dei ceti meno abbienti.
Non ci dobbiamo fasciare la testa prima di averla rotta, ma per gli ambienti politici che tendono a rimuovere i vincoli per l’utilizzo delle risorse, teorizzano la rivoluzione ambientale mettendo fuori gioco interi apparati produttivi, ma che nel contempo approvano un’onerosa riforma degli ammortizzatori sociali tesa a mantiene in vita posti di lavoro inesistenti, un ritorno alla realtà sarebbe più che mai opportuno.