Fingere di non sapere è sgradevole. Mentire di non sapere, in alcune sedi, potrebbe rappresentare un reato. Ammettere di non sapere sarebbe un auspicabile optimum, ma, molto spesso, tale ammissione comporta fatica soprattutto sul piano reputazionale e, pertanto, si tende a evitare la manifesta ignoranza. Sempre trattando questa fastidiosa abitudine di negare la propria non conoscenza, sovente l’individuo oggetto di questo momentaneo “bug neurale” ha prima fortemente manifestato la sua esperta specializzazione (improvvisata) nella materia che, successivamente, si tramuterà in un vero e proprio bluff. Scoperto l’effettivo non sapere, il soggetto in questione, avanzerà una strategia comunicativa di carattere prudenziale ricorrendo ad azioni filosofiche con il classico «pensavo che…» oppure rifacendosi a potenziali visioni «immaginavo che…» per, definitivamente, tracollare nel più triste e arrogante: «Non l’ho mai detto, anzi, è proprio l’esatto contrario».



Accantonati i tanti “se” e i molti “ma”, oggi è oggettivamente squalificante non sapere l’attuale stato della realtà relativa all’andamento dell’inflazione che finora ha penalizzato l’economia e che, per il momento, risulta in netta flessione e ormai prossima a un fisiologico ridimensionamento. I dati diffusi in settimana non lasciano molto all’immaginario (e alla fantasia) di tutti coloro che prima sapevano e ora, inevitabilmente, retrocedono nella conoscenza rinnegando le precedenti parole.



Guardando all’Italia, le rilevazioni (rif. dati definitivi) di lunedì diffuse da Istat, hanno acclarato plasticamente lo stato dell’arte: 6,4% su base annua è il valore dei nostri prezzi al consumo. Né più, né meno. È così. Solo così.

Parallelamente, però, sempre in dote al comunicato è emerso “un numero” che, probabilmente, potrebbe essere passato inosservato o, nella peggiore delle ipotesi, non appreso dai numerosi conoscitori della materia. Quel numero, di fatto, sintetizza un potenziale quantum per tutti coloro che, sull’inflazione, ci avevano scommesso. Si tratta dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) al netto dei tabacchi che, in aumento del 6,0%, vede un valore di riferimento pari a 118,6 ovvero invariato rispetto al mese precedente.



Questa importante indicazione viene aggiornata mensilmente e, conseguentemente, risulta assai utile per tutti coloro che detengono i cosiddetti titoli di Stato “Btp Italia”. Infatti, come previsto dalle rispettive schede informative a corollario dei singoli collocamenti si può facilmente riscontrare questo: «Cedola: modalità di calcolo e pagamento: semestrale, indicizzata all’indice FOI senza tabacchi del semestre di competenza, corrisposta in via posticipata, e calcolata moltiplicando il tasso cedolare semestrale reale fisso (Tasso cedolare reale annuo definitivo/2) per il capitale rivalutato».

Semplificando all’estremo: ogni emissione si caratterizza per un suo «numero indice dell’inflazione calcolato alla data di godimento e regolamento del titolo». A mero titolo esemplificativo, la diciannovesima e ultima emissione del marzo scorso fissava a quota 118,24194 l’indice FOI attraverso il quale poter raffrontare (e quindi calcolare) la prima cedola semestrale in essere. Pertanto, ipotizzando che gli attuali valori (rif. 118,6) fossero quelli riscontrabili in occasione del prossimo riconoscimento della cedola, il valore di quest’ultima quantificherebbe un interesse pari allo 0,30%. Coerentemente, questo residuale ammontare, rappresenta – in numeri – la rivalutazione monetaria avvenuta nel medesimo periodo in capo all’inflazione italiana.

Da questa esemplificazione risulta scontato che, in caso di prossimi e ulteriori discese del livello dei prezzi al consumo anche le singole cedole previste da ciascuna emissione di Btp Italia subiranno inevitabilmente lo stesso trattamento. Come già detto: né più, né meno. Inoltre, guardando alle sole quotazioni dei rispettivi titoli di Stato, il precedente e manifestato appeal, verrebbe potenzialmente intaccato: a questa ipotesi (alquanto reale e attuale) è bene ricordare come lo Stato italiano per mano del Governo in carica e mediante lo strumento Def abbia apertamente previsto questa conclusione.

Consapevoli di questi elementi, è ovvio, osservare sui mercati finanziari la già avvenuta discesa dei prezzi e la futura riduzione delle cedole previste. Ora, a cose fatte, appare molto difficile ammettere di non sapere.

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