L’inflazione nell’eurozona, a novembre, era ufficialmente al 4,9% (4,1% il mese precedente), ma la Bce – al pari della Fed alle prese con un 6,8% negli Usa – continua a giudicarla “transitoria”. Le attese restano entro il limite del 2% sia per l’anno appena iniziato, sia per il 2023: secondo Francoforte, il brusco rialzo dei prezzi dell’energia è destinato a raffreddarsi in fretta, così come nei prossimi mesi dovrebbero normalizzarsi i colli di bottiglia creati dalla pandemia nelle catene logistiche internazionali.
Nel frattempo la Russia, sul fronte ucraino, sta però tenendo duro nell’uso geopolitico del prezzo del gas naturale: che in un anno è quadruplicato (a San Silvestro agli italiani è stato comunicato che la loro inflazione “percepita” sarà del 55% per le bollette elettriche e del 41,8% per quelle del gas domestico). Il Covid Omicron, intanto, sta ponendo ovunque sul pianeta una sfida forse definitiva, nel transito della pandemia da epidemica a endemica. Ma lo sbocco, al momento, è tutt’altro che prevedibile.
Nello scorcio finale del 2021, la Fed – soprattutto – e la Bce hanno pre-annunciato l’esaurimento tendenziale delle politiche monetarie ultraespansive che durano dalla crisi del 2008 (la Bank of England ha già operato un primo rialzo dei tassi). Ma i tassi percepiti – con le virgolette o senza – dai risparmiatori restano per ora zero: e i rendimenti dei titoli di Stato con rating più alto (come i Bund tedeschi) rimangono negativi. In questo passaggio l’intero mercato globale dei bond ha registrato il suo peggior anno dal 1999.
Le Borse azionarie hanno intanto inanellato un terzo anno d’oro, almeno negli indici aggregati: il Ftse All World negli ultimi dodici mesi è cresciuto del 16,7%, moltiplicando il +14,1% del 2020 (anno nero del Covid) e il +24,4% del 2019. Però Banche centrali e Covid hanno già cominciato da settimane a sgonfiare “bolle” ormai evidenti. Una super blue-chip come Amazon ha chiuso l’ultima seduta del 2021 al Nasdaq a 3.334 euro, mantenendo uno spunto eccezionale negli ultimi cinque anni (+318%, +90% da inizio pandemia). Nell’anno ha toccato il suo massimo storico (3.773 dollari), ma nel solo mese di dicembre ha perso l’8% e lo scorso marzo è brevemente piombato sotto i 3mila euro. La volatilità è il profilo più “percepibile” della rischiosità ormai associabile a un investimento azionario considerato “mainstream”.
Da un mercato che per decenni ha offerto investimenti finanziari con rendimenti privi di rischio (classicamente in titoli di Stato o depositi bancari) a uno che impone largamente impieghi a rischio crescente con aspettative di rendimento ragionevolmente nulle o negative. È uno scenario crudo quello che si disegna, all’inizio del 2022, per un popolo tenacemente risparmiatore come quello italiano. che nei due anni dell’era Covid ha accumulato una somma record di 1.800 miliardi di euro di liquidità nei conti bancari e postali.
Dunque: tenere i propri risparmi liquidi è esposto al rischio di inflazione; investirli in bond non offre redditività e pone rischi di mercato in conto capitale; entrare ora sui listini azionari è proibitivo se non suicida. Diversificare in beni tradizionalmente giudicato “rifugio” (immobili oppure oro) non costituisce più di un’alternativa reale. E questo vale per il risparmiatore individuale e per i grandi gestori di risparmio collettivo, anzitutto i fondi-pensione.
È una cornice tanto inedita quanto pesante nelle conseguenze: che sono quelle di una paradossale “patrimoniale globale”. Un “taglio di capelli” imposto non da un singolo Governo o da una singola banca centrale: quindi non con obiettivi o effetti definiti o controllabili. Salvo quello di iniziare a diluire gli enormi debiti pubblici accumulati per varie ragioni dal 2008 in poi, da tutti: anche dalla Cina.
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