Il prof. Tridico fu candidato ed eletto presidente dell’Inps da un movimento che demagogicamente negava il valore del lavoro (forse perché diretto da persone che non avevano mai lavorato) e quindi con un compenso assolutamente inadeguato al ruolo. Accettò comunque mentre altri candidati alla vicepresidenza o ad altri incarichi rinunciarono proprio perché impossibilitati a dare il proprio contributo con quei compensi che non coprivano nemmeno il limite di povertà.
Per me, ma credo sia la base di qualunque sede di diritto civile, ogni responsabilità, perché sia tale, va giustamente retribuita e non ha senso che chi ha la massima responsabilità di un ente sia pagato meno dei dirigenti che dipendono da lui e portano meno responsabilità. Ma il prof. Tridico non ha mosso obiezioni forse sapendo che poi ci sarebbe stato un ripensamento e gli stessi della demagogia iniziale avrebbero riconosciuto il diritto a un compenso un po’ più adeguato e con un certo valore retroattivo.
Anche ora il compenso per il Presidente dell’Inps è da ritenersi inadeguato se paragonato a quello dei dirigenti apicali dello stesso ente. Si può però ritenere che sia almeno adeguato per poter chiedere conto di esercitare la propria responsabilità rispetto a quanto l’Inps non è stata in grado di fare, e ancora non si dimostra in grado di rispondere alle esigenze che la crisi pandemica ha posto con l’esplosione dei ricorsi alla cassa integrazione.
Nei primi mesi del lockdown la controinformazione Inps ha funzionato e le proteste erano indirizzate quasi esclusivamente verso le Regioni. Ma bastava fare veloci verifiche per scoprire che se il ritardo delle Regioni pesava per il 10-20% del tempo necessario per arrivare al riconoscimento di quanto dovuto poi, dopo regolare approvazione regionale, un 80% del ritardo rimanente era da addebitare a chi aveva detto “faccio tutto io”. Inoltre, le Regioni erano coinvolte solo per una parte delle domande di Cig in deroga e non per tutte quelle aziende che per via ordinaria andavano direttamente al canale Inps per il pagamento del dovuto. Gli unici lavoratori che hanno visto rispettati tempi e modi sono stati i dipendenti di quelle aziende che anticipavano direttamente il dovuto potendo poi aspettare loro il rimborso dall’Inps.
Da quando poi è passato, anche per le Cig in deroga, tutto il processo all’Inps, le cose sono ancora peggiorate. Oggi circa 500.000 posizioni non sono ancora in regola. Ma dentro a questi numeri ci sono categorie non pervenute (sono note le sparizioni di colf e badanti dal novero dei lavoratori cui riconoscere il diritto al reddito integrato) e vi sono ritardi di molti mesi o interruzioni inspiegabili. Chiedere trasparenza e informazione è come rivolgersi alla direzione della burocrazia del tribunale di Kafka. Né attraverso domanda di singoli o con l’appoggio sindacale si riesce a chiarire il perché di troppi ritardi ed errori che hanno spesso genesi nell’inversione dei principi di efficienza ed efficacia.
Il responsabile di un qualsiasi ufficio che solleva un quesito relativamente a una procedura di pagamento ipotizzando un rischio di danno patrimoniale blocca per mesi, in attesa di risposta, il diritto all’accesso alla cassa per interi target di lavoratori. È evidente che così non si otterranno mai standard di rispetto dei diritti degli utenti che dovrebbero venire prima delle tutele organizzative degli uffici. Peraltro nessuno viene valutato sui danni che il suo comportamento determina purché sia tutelato da un regolamento interno anche se questo risulta peggiorativo per il risultato del servizio.
Per tutto quanto avvenuto in questi mesi e sta ancora succedendo, con ritardi che costano il non riconoscere il dovuto a migliaia di famiglie, il Presidente dell’Inps dovrebbe avere il buon senso di ritenere l’adeguamento del compenso come liquidazione e lasciare il posto ad altri. A qualcuno in grado di assumersi la responsabilità di ripensare come l’Ente deve funzionare per assicurare i servizi al lavoro che pretende di gestire in assoluta solitudine.
Sgombrato il campo da chi ha dato prova di incapacità, anche il Governo dovrebbe far uno sforzo di fantasia e porsi due problemi. In queste crisi nessuno ha assunto la responsabilità politica di coordinare gli interventi (il ministero del Lavoro ha brillato per assenza) fra Stato, Regioni, Inps e soprattutto nessuno ha mobilitato, per ottenere sostegno, la rete di patronati e Caf (a partire da quelli sindacali) che avrebbero potuto gestire meglio analisi delle domande e fornire agli istituti bancari analisi più precise e dettagliate per procedere ai pagamenti.
Corretta questa assenza si potrà anche riflettere se non sarebbe meglio staccare da Inps i servizi che sono destinati al mondo del lavoro. Sempre più si presume che saranno necessari periodi di transizione durante la vita lavorativa. I percorsi di ricollocazione saranno prassi corrente e non solo interventi straordinari durante i periodi di crisi economica. Gli strumenti oggi raggruppati sotto la famiglia delle casse integrazioni sono gli strumenti passivi (il sostegno al reddito) che formano con quelli attivi (percorsi formativi e di orientamento) le politiche attive del lavoro.
Nei Paesi europei dove le politiche del lavoro funzionano meglio vi è un’unica agenzia che gestisce tutte le leve di intervento, strumenti attivi e passivi, e li modula al meglio perché può misurare la propria efficienza mettendo al centro gli interessi degli utenti e non quelli dei professori/presidenti.