Il Presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha imputato il collasso del sistema informatico per la raccolta delle domande per l’erogazione dell’una tantum di 600 euro destinata ai lavoratori autonomi a un attacco di pirati dell’informatica. Ammettendo successivamente che il sistema informatico non era in grado di processare una tale mole di domande concomitanti invitando gli interessati a presentarle con più  calma nei giorni successivi. Un affollamento che, per inciso, era stato provocato dalla circolare attuativa dell’istituto che condizionava l’accettazione delle domande sino all’esaurimento dei fondi disponibili come disposto dal decreto emanato dal Governo.



Sull’incidente non potevano mancare le polemiche riguardo la  presunta inefficienza dell’Inps e la rituale richiesta di dimissioni del Presidente dell’Istituto avanzata dalle opposizioni politiche, compresa la Lega  che ha concorso a nominarlo. Un fatto che  si ripete ogni qual volta, quasi sempre, l’istituto in questione venga chiamato a erogare delle prestazioni decise a livello politico con l’immancabile promessa di erogare tempestivamente. Ma nella realtà i veri responsabili delle disfunzioni non sono i dirigenti e i dipendenti dell’istituto,  tantomeno i pirati informatici. Da molti anni il vero hackeraggio viene praticato proprio dai politici.



Nel giro di 10 anni l’Inps, da ente erogatore delle pensioni e dei sostegni al reddito dei lavoratori dipendenti e autonomi privati, è  stato incaricato di assorbire una moltitudine di  enti previdenziali pubblici e privati di previdenza e di erogazioni varie (per un complessivo di oltre 40 fondi) che hanno comportato  la razionalizzazione della gestione delle erogazioni e l’uniformazione dei sistemi di raccolta dei contributi nell’ambito dell’attuazione di due complesse riforme della previdenza e dei sostegni al reddito. Ciò  non bastasse, sono state messe in capo all’istituto una miriade di prestazioni di bonus assistenziali e integrazioni al reddito di ogni sorta, nazionali e regionali, voucher, Ape, Ape social, bonus bebè e asilo, quota 100 e redditi di cittadinanza. Una miriade di  provvedimenti spot,   frutto della degenerazione assistenzialista del nostro welfare.



Per l’erogazione di questi provvedimenti, enunciati in pompa magna dai politici di turno con l’immancabile promessa di renderli operativi prima delle scadenze elettorali di turno, l’Inps viene chiamato a predisporre le circolari interpretative, l’adeguamento sistemi informatici di supporto, la raccolta degli immancabili pareri delle autorità della privacy e dell’Anac. Adempimenti che l’Istituto ha dovuto ottemperare nell’ambito dei vincoli di legge che hanno imposto le riduzioni delle  spese di amministrazione e del personale introdotte per tutte le pubbliche amministrazioni.

La verifica dei requisiti di reddito e patrimoniali dei potenziali beneficiari,  che accompagna la gran parte dei provvedimenti assistenziali, richiede all’Inps di verificare le fonti di reddito, i patrimoni, le residenze e convivenze, i benefit erogati da altre amministrazioni, rimediando alle carenze delle amministrazioni fiscali preposte. Tutte cose improbabili e che  opportunamente gli uffici dell’istituto  aggirano con il rilascio delle autocertificazioni da parte dei richiedenti.

Fatevi un’idea. Negli altri Paesi europei la mole delle prestazioni erogate dall’Inps per previdenza, assistenza e sostegni al reddito viene assolta normalmente da enti diversificati per finalità  e professionalità, con volumi di personale di gran lunga superiori ai 27 mila dipendenti del nostro Istituto.

La trasformazione dell’Inps in un istituto monstre tutto fare è  il frutto finale della degenerazione clientelare delle politiche del welfare italiano. Ben rappresentata dal prof. Tridico e dagli esponenti che teorizzano di estendere il reddito di cittadinanza a chi lavora in nero.