Uno dei fenomeni più interessanti che può osservare un cultore dell’architettura delle regole (chi scrive ne è affascinato) è la normazione di fenomeni nascenti come quello che riguarda, per esempio, l’innovazione finanziaria legata alla corsa tumultuosa della tecnologia (FinTech). Un argomento sulla frontiera del cambiamento che riguarda istituzioni imprese e famiglie. Con un impatto, quindi, universale. È sufficiente questa premessa per comprendere che parliamo di un pezzo rilevante del nostro futuro.
Per agevolare la formazione di leggi e regolamenti che calzino alla materia oggetto dell’attenzione ci si affida a regimi transitori che consentano di sperimentare, provare, valutare e finalmente trovare la formula che possa andar bene. Si tratta di lavorare su terreni sconosciuti e per questo insidiosi. C’è bisogno di voglia e di coraggio oltre che di una buona dose di capacità professionali. Una disciplina nascente è cosa più viva che mai e da come va consolidandosi l’assetto dipenderà la fortuna o meno del campo osservato.
Quanto sia importante ideare e realizzare piattaforme giuridiche efficienti ed efficaci è confermato dalla decisione di attribuire quest’anno il Premio Nobel per l’economia a Daron Acemoglu, Simon Johnson e James Robinson “per gli studi su come le istituzioni si formano e influenzano la prosperità”. Dunque, attenzione a come si fissano i principi che dovranno sovrintendere al funzionamento di un qualsiasi oggetto: il governo di un Paese come quello di un settore a maggior ragione se allo stato embrionale.
Ma, c’è sempre un “ma” nelle faccende italiane. Queste attività creative hanno bisogno di una cultura del rischio e del fallimento come esito possibile della sperimentazione. In America tutto questo fa parte del codice genetico della nazione che invoglia a percorrere strade nuove senza punire chi dovesse finire in un vicolo cieco per amore di esplorazione. L’imbroglio e l’inganno sono puniti severamente. Ma l’errore dovuto all’incertezza dell’intrapresa è messo nel conto. Fa parte del gioco ed è accettato da tutti.
Da noi vince il principio del “chi non fa non sbaglia” che è l’esatto contrario di quello che serve per incoraggiare il viaggio nell’incognito. Il sistema delle regole, grandi e piccole, è pensato per sollevare dalle responsabilità chi deve gestirlo: burocrati, bancari, dispensatori d’incentivi. Cumuli di carte per rendere difficile la vita al destinatario del provvedimento, a tutti i cittadini in qualsiasi forma organizzati, che si trova schiacciato da adempimenti formali sempre più numerosi e astrusi che s’incattiviscono a ogni tentativo di semplificazione.
La massima preoccupazione è quella della “carta a posto” per poter difendersi dalle crescenti aggressioni di quelle procure che si sono abituate a sostituirsi alle decisioni politiche volendo sindacare il perché e il per come di qualsiasi scelta ascrivendo a sé il potere decisorio che spetterebbe ad altri. Un’ingerenza indebita per chi vorrebbe lavorare e produrre, un alibi in più per chi si nasconde dietro lo spauracchio di inquisitori velocissimi nell’interdire e nell’anticipare pene che i tribunali s’incaricano spesso, ma tardi, di cancellare.
Una comunità fondata sul sospetto e sull’invidia del successo altrui non ha certo le basi per progredire. La tenuta del Pil e l’avanzamento sui mercati internazionali sono il frutto di sacrifici e atti eroici di centinaia di migliaia di imprenditori di tutte le taglie e dei loro collaboratori che nonostante tutto riescono a competere e a mantenere il Paese tra quelli avanzati e prosperi. Se guardiamo avanti, però, dobbiamo porci il problema di come superare i vincoli culturali e comportamentali che potrebbero condannarci al passo indietro.
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