Togliersi la medaglia, fischiare l’inno d’Italia, non sono giustificati dalle lacrime e il rimpianto, anche se spiace, negli occhi di un bambino, che sia sullo spalto più alto o accanto ai futuri re e regine. Come nella vita, la supponenza, la presunzione, l’irrisione beffarda, la volgarità e i muscoli pagano poco. Vincono l’umiltà, la fatica, lo stile, l’amicizia di un gruppo di ragazzi che fino a inizio partita era esortato a divertirsi per 90 minuti.
Così si fa, e questa è l’Italia migliore: che soffre e stringe i denti, che si affida ai vecchi che spronano i giovani e ai giovani che rispettano i più vecchi, che riconosce l’autorevolezza dei maestri e li stima soprattutto per la pienezza di umanità (vedi l’abbraccio di Mancini e Vialli). Che sa sorridere, scherzare, non rispondere alle offese.
Un’Italia spesso tradita e guardata con sufficienza in Europa, che alza la coppa d’Europa in un paese che dall’Europa è uscito, che ha organizzato i giochi in casa per vincerli, che non accetta il secondo posto puntando ancora e sempre su una presunta superiorità.
Ci saranno fiumi di retorica, miele e melassa, ma per una volta possiamo smetterla di denigrarci o con rassegnato scetticismo lasciar parlare male del nostro paese. Il calcio oggi è metafora, ed è giusto godersi la speranza di una ripartenza.
A proposito, il santo protettore dei calciatori è san Luigi Scrosoppi. Tanto per ricordare che si può tirare per il mantello anche i santi per far sorridere milioni di persone che per 16 mesi non hanno potuto farlo.
E ancora, Florenzi ha mostrato la medaglia in favor di telecamera gridando “mamma, guarda qui”. Chiesa, Donnarumma ancora in campo dal labiale alla prima telefonata chiamavano la mamma. Non “genitore 1”.
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