E così, il vuoto creatosi ai vertici della Lega Calcio pare proprio che non sarà colmato da Carlo Bonomi. Il Presidente di Confindustria è stato infatti candidato dai big del calcio di serie A per succedere al dimissionario Dal Pino, ma alla fine non è stato votato. Bonomi dirà ora che lui non ne sapeva nulla, ma è molto difficile pensare che non avesse lui stesso creduto e sperato nella riuscita di questa operazione. In questi giorni la sua nomination, oltre a sorprendere molti osservatori, ha anche allargato quel malumore tra gli industriali che, peraltro, non nasce con questa vicenda ma parte da più lontano.



La guida di Bonomi in Confindustria inizia a metà del 2020, durante il primo lockdown. Non sono stati due anni semplici per impresa e lavoro, ma è anche vero che non sono mancate le occasioni per costruire degli accordi innovativi e per riattualizzare il patto della fabbrica.

La pandemia ha reso ordinario il lavoro da remoto. Era questa un’opportunità importante per scrivere delle linee guida per tutte quelle aziende che non contrattano direttamente la loro organizzazione del lavoro. Tanto per capirci, oltre il 95% delle nostre imprese ha meno di 10 addetti/e: significa che non vi è qui alcun tipo di contrattazione aziendale. È altrettanto chiaro che nel restante 5% vi siano le imprese più dimensionate, da quelle medie a quelle grandi. E che è in questo segmento che si pratica contrattazione diretta e che, già un anno fa, venivano sottoscritti accordi innovativi sulla disciplina del lavoro che oggi definiremmo “ibrido” (un po’ in presenza, un po’ a distanza). Ma soltanto a dicembre le Parti sociali hanno firmato il “protocollo sul lavoro agile”, anche per iniziativa del Governo, a conferma della debolezza del loro dialogo.



Per non parlare della vicenda green pass: dalla sua introduzione, la levata di scudi di Bonomi – “noi non paghiamo i tamponi” – ha reso la situazione molto rigida. Ci voleva tanto, anche in questo caso, ad accordarsi con il sindacato? Sin dall’inizio della pandemia, in diverse aziende sono stati organizzati sistemi di tracciamento estesi anche ai familiari dei dipendenti. Più recentemente, vi sono state imprese che hanno organizzato un sistema gratuito di tamponi per evitare disservizi e discriminazioni tra i propri dipendenti. Vi è poi il caso tutto particolare dei trasporti e della logistica – settore già stressato da crisi e rincari delle materie prime – in cui gli imprenditori hanno preferito pagare i tamponi piuttosto che le penali. Come si suol dire, prevenire è meglio che curare: disfunzioni e ritardi sulle consegne evidentemente sono costi più onerosi. Vi sono poi casi di aziende che hanno messo a disposizione un tampone gratuito la settimana per i propri dipendenti: il costo dei tamponi è stato così distribuito tra impresa e lavoro. L’inerzia delle Parti sociali ha contribuito ad alimentare la loro distanza.



Persino nella fase di messa a punto della manovra di bilancio, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil non hanno pensato di fare fronte comune ma hanno proceduto in modo disorganico su rivendicazioni per certi versi complementari. Col risultato che oggi – nel pieno della burrasca inflattiva – Bonomi e Landini si mandano messaggi bellicosi invece di chiedere insieme un intervento sul cuneo fiscale che magari, oltre a generare effetti sulle retribuzioni, possa differenziare il peso del fisco tra imprese medio-grandi e piccole, che oggettivamente ne sono schiacciate.

Tutte queste cose, però, si possono fare se tra le Parti si instaura un clima di rispetto e collaborazione reciproca senza il quale non si genera alcun processo innovativo. È dall’inizio della Presidenza Bonomi che questa Confindustria è parsa poco attenta a costruire un ponte con le Parti sociali che favorisse confronti seri e accordi. E se non sono gli imprenditori a prendere iniziativa per intese innovative, non succede nulla. Chi conosce le relazioni industriali, lo sa.

Il mondo sindacale e, in particolare, quello confederale presentano ritardi e inefficienze che sono note e che spesso abbiamo rilevato. La quotidiana pratica contrattuale delle federazioni di categoria tiene viva, invece, l’azione sindacale a questo livello. Il punto è capire se l’ambito confederale può avere un futuro. E, nel caso, quale futuro. Servono però idee chiare e capacità di dialogo: non si creano sinergie tra le Parti con gli slogan e in nome del “riformismo competitivo”. Le relazioni industriali e la Confindustria non sono un campionato di calcio.

Twitter: @sabella_thinkin

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