Ormai è palese, il Pnrr è in ritardo, i progetti connessi sono in ritardo; ennesimo fallimento del Governo Draghi, ennesimo di una serie della quale nessuno gli ha chiesto conto. Ricordate le parole dell’ex Primo ministro italiano? “Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?”.

Erano i primi di aprile. Sono passati ormai otto mesi e di pace non c’è traccia, mentre in alcuni condomini romani l’azienda fornitrice ha staccato i riscaldamenti a causa della morosità, lasciando centinaia di famiglie al freddo. E siamo all’inizio di un inverno che promette di essere rigido (in questi giorni il guadagno di massa dei ghiacci in Groenlandia è a livelli record). Niente riscaldamento e niente pace, altro fallimento targato Draghi.



Così come hanno fallito tutti i leader europei, nel goffo tentativo di mettere in ginocchio la Russia con uno strumento inefficace come quello delle sanzioni. E invece la Russia nell’anno corrente avrà una bilancia commerciale record, seconda nel mondo solo a quella della Cina.

Un altro fallimento è la nota questione del cosiddetto “price cap” cioè del tetto sul prezzo del petrolio da applicare al petrolio russo. Ora tutto sanno che da che mondo è mondo, il prezzo di un bene è il frutto di una trattativa tra compratore e venditore. Anzi, questo è il principio fondante del noto “libero mercato”, senza il quale non ha senso parlare di “libero mercato”. Si tratta anche di un principio necessario, anche perché una regola alternativa non è mai stata trovata. Quindi, era fin troppo facile prevedere il fallimento di una simile “imposizione” da parte del compratore.



E il fallimento oggi si può dire che è raggiunto: i Paesi europei finalmente hanno trovato l’accordo per non trattare il petrolio di origine russa (e qui ci sarebbe già molto da dire) al prezzo di 60 dollari, mentre secondo l’agenzia Reuters lo stesso viene venduto in Asia al prezzo scontato di 79 dollari. Senza contare il fatto che il petrolio può essere mescolato e quindi il prodotto risultante è un petrolio che ha perso la sua etichetta di “petrolio russo”.

Ancora oggi parlo del fallimento delle iniziative politiche di Draghi perché l’attuale Governo Meloni (il cui ministero dell’Economia è guidato da un fedelissimo di Draghi, il leghista Giorgetti) ha da sempre dichiarato l’intenzione di non deviare dalle linee impostate da Draghi in politica estera.



Ma la politica economica? Forse è cambiata in modo sostanziale? Il “cambiamento” non è possibile, perché la situazione economica è ormai legata a doppio filo con la politica estera, cioè con la crisi in Ucraina e le relative sanzioni, che gli Usa non rispettano e sulle quali il Governo belga ha applicato un centinaio di eccezioni ed esenzioni, per evitare il fallimento in serie di interi settori.

Insomma, le sanzioni colpiscono l’economia europea, ma non tutta, in particolare quella italiana. Proprio per questo si attendevano interventi necessari, che non sono arrivati. Di cosa si è occupato il Governo? Di iniziare a togliere il Reddito di cittadinanza, come se quello fosse l’origine di tutti i problemi, come se prima di quello non ci fossero problemi. Intanto in sordina vengono confermati i capitoli di spesa per la fornitura di armi all’Ucraina.

Diciamo allora che questo Governo, come il precedente, ha confermato che quando vuole lo Stato non ha problemi di soldi: quando vuole fornisce imponenti armamenti militari all’Ucraina (che magari finiscono nelle mani sbagliate, ma questo è un altro discorso) anche se poi piagnucola sugli sprechi e iniziano i tagli nei vari settori: welfare, scuola, sanità, ecc.

Invece di aumentare i salari per evitare di far pagare il costo dell’inflazione ai dipendenti, fa il contrario, tagliando i posti di lavoro. Ma è un male diffuso in tutte le economie che condividono la stessa ideologia mercatista, la stessa ottusa fissazione per le regole del libero mercato, senza alcuna considerazione per il valore del lavoro. I dati americani parlano chiaro, le imprese annunciano 76 mila tagli per il mese di novembre, con un aumento dei licenziamenti del 217% rispetto al mese precedente. In calo anche l’occupazione nel settore manifatturiero, che si avvicina a livelli che non si vedevano dal marzo 2020. L’indice PMI tocca il valore di 49,2, segnando una contrazione. Dei sotto indicatori (sono undici) ben otto sono negativi.

E pure il settore immobiliare ha dato da tempo segnali di crisi, una grave crisi. Dopo la contrazione delle vendite, ora arriva la ben più grave contrazione dei prezzi, perché non solo mostra la cronica debolezza del settore, ma impatta nei bilanci di tante società (incluse le banche) che hanno messo le proprietà immobiliari nei bilanci, ma a determinati valori. Se questi valori calano, ne risentono i bilanci societari con effetti a cascata nei settori più diversi.

La situazione è tanto grave che il grande fondo di investimento immobiliare Blackstone ha bloccato i riscatti su uno dei propri fondi, preso d’assalto dalle richieste dei risparmiatori di riavere il proprio denaro.

Per tutti questi motivi l’inerzia del Governo è particolarmente grave: perché la crisi in arrivo è largamente annunciata e non potrà accampare la scusa di una crisi imprevista. Qui è tutto largamente annunciato. E mi sembra annunciata anche la prematura fine di questo Governo.

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