Caro direttore,
negli Usa il presidente è a un minimo storico assoluto di popolarità, alla vigilia del voto midterm. In Francia il presidente rieletto è stato subito azzoppato alle legislative. In Gran Bretagna il premier è stato disarcionato (non ancora del tutto) in modi lontani dagli standard della più antica liberaldemocrazia del globo. In Germania il nuovo cancelliere non è ancora davvero nato. In Italia c’è l’ennesimo premier tecnico. In Giappone viene assassinato un premier emerito popolarissimo. Israele si prepara alle quarte elezioni anticipate in tre anni. Le democrazie sono in crisi, titolano preoccupati tutti i media occidentali: proprio quando l’Occidente Democratico è impegnato in un confronto durissimo con l’Oriente Autocratico russo-cinese (o turco o altro ancora).
Lo è – ufficialmente – per proteggere una democrazia (come è formalmente quella ucraina) aggredita da un’autocrazia (com’è sostanzialmente quella russa). Tuttavia dopo 135 giorni, la democrazia ucraina si sostanzia nella figura onnipresente e – apparentemente – onnipotente del presidente-generalissimo Volodymir Zelensky. La costituzione ucraina disegna certamente una repubblica presidenziale, ma dal 24 febbraio la “Verkhovna Rada” – il parlamento ucraino – non ha praticamente dato segni di vita. E l’azione effettiva del governo in quanto tale è stata evanescente, opaca nei mezzi e nei fini. “Desaparecido” è il premier Denys Shmyal. Più visibile – anche se in modo intermittente – il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba. Qualche comparsata sui network globali è stata riservata al primo viceministro Yulia Svyrydenko. Qualcuno conosce volto e curriculum di Oleksii Reznikov, sulla carta il ministro dell’esercito in campo contro l’Armata rossa?
Nei giorni scorsi Kiev ha ventilato un maxi-piano di ricostruzione da 750 miliardi di dollari (l’equivalente del Recovery Plan Ue post Covid): in teoria dovrebbero gestirlo i ministri delle finanze, delle industrie strategiche, della trasformazione digitale, delle infrastrutture eccetera. Non ultimo, quello dell’energia: dove (non sorprendentemente) negli ultimi tre anni si sono alternati ben cinque titolari. E cosa ci fa – in un ordinamento democratico supposto “occidentale” – un “ministero dell’informazione”? Chi decide cosa, a Kiev, e come? Chi sta decidendo che l’Ucraina vuole continuare una guerra distruttiva, lasciando fuggire all’estero già sei milioni di suoi cittadini? Perché la Ue sta continuando a tenere sotto infrazione Polonia e Ungheria per presunte violazioni dei principi democratici europei e ha spalancato le porte all’Ucraina guidata nei fatti da un’oligarchia post-sovietica?
Se una democrazia è intrinsecamente “accountable” al suo interno, anche la governance internazionale incardina equilibri fra poteri e responsabilità. L’Ucraina – fuori dalla Nato – ha il diritto di chiedere aiuto alla Nato di fronte all’invasione russa. Ma da quattro mesi, Zelesnky più che chiedere pretende armi e sostegno economico-finanziario, senza condizioni. La Ue è obbligata a sobbarcarsi costi e rischi della crisi ucraina senza poterne discutere le condizioni. Zelensky – tante meno le supposte istituzioni democratiche di Kiev – non sono mai stati chiamati ad affrontare la loro vicenda in termini politici: spiegando gli obiettivi, offrendo garanzie. Nel 1940 la Gran Bretagna stava per essere invasa dalla Germania hitleriana e chiese aiuto agli Stati Uniti: che però si guardarono bene dall’entrare nuovamente in un “conflitto interno” all’Europa. Tutto quello che Winston Churchill (a capo di un governo di unità nazionale) ottenne da Washington fino al 1943 fu un flusso sempre più robusto di aiuti economici approvati dal Congresso: naturalmente con una legge (Lend Lease). Roosevelt ha sempre risposto al suo Parlamento, Churchill anche. È questo format che – anche in questi giorni – è indicato come “democrazia esemplare”: quello che ha fatto la differenza contro Hitler, ma poi anche contro l’Urss e – non da ultimo – contro l’Isis. E allora perché a Zelensky non viene chiesto di staccarsi almeno per un giorno dalla sua “nostop live” e di discutere il presente e il futuro della (seconda) guerra ucraina? Forse il problema è – per l’appunto – che nessuno dei leader delle democrazie occidentali glielo chiede. Ma così facendo sono forse per primi a mettere a rischio la “democrazia esemplare” nata e cresciuta negli ultimi tre secoli sulle due sponde dell’Atlantico.
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