“Federalismo”, questa la nuova parola magica pronunciata da Draghi al Parlamento europeo, nel suo recente discorso. Un nuovo termine (peraltro già usato da altri) che si colloca nel filone del solito mantra “più Europa”.
Ricordate? Si è fatto il Trattato di Maastricht perché ci vuole “più Europa”, poi si è arrivati alla moneta unica perché ci vuole più Europa, poi si è parlato della riforma bancaria (mai realizzata, se non nell’accorpamento delle banche più piccole finalizzato a distruggere il tessuto locale) perché ci vuole più Europa, poi si è parlato di riforma fiscale, ma ancora non basta.
Così si deve arrivare al “federalismo” in salsa draghiana, cioè tramite l’abolizione del diritto di veto, una vera e propria rivoluzione che metterebbe all’angolo soprattutto i Paesi più piccoli. Insomma, l’Ue diverrebbe una trappola dove la minoranza non conta più nulla e la maggioranza può decidere di tutto.
La proposta di Draghi è pienamente appoggiata da Macron e sicuramente non dispiace in Germania. A tale proposta si stanno opponendo esplicitamente 13 Paesi: Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia e Svezia. E qui la situazione si complica: come si fa a togliere il veto, cioè a ottenere l’unanimità a una proposta che toglie la necessità dell’unanimità?
Il giornalista Maurizio Blondet si dice “sicuro che Macron e Draghi non rinunceranno al golpe. Bisogna vedere cosa inventeranno per forzare il risultato che vogliono”. E qui si merita una sonora bocciatura alla cattedra di Complottologia. Ma come? Come si fa? Lo hanno già detto come si fa e lo stanno attuando sotto i nostri occhi! “Le crisi in fondo sono passi in avanti… nella cessione di sovranità…”, come disse l’ex Presidente del Consiglio Mario Monti. Tu, piccolo e insignificante Paese, non voti per la cessione della sovranità, per rinunciare all’unanimità, in modo che noi illuminati decidiamo il tuo bene per te e per tutti? Allora scateniamo una devastante crisi economica, finanziaria e bancaria (e magari pure alimentare), così il popolo infuriato scende in piazza e spazza via il tuo Governo stupido e ostinato (cioè fa il lavoro sporco per noi, gli illuminati), così poi noi facciamo la figura dei salvatori del popolo, anche se poniamo qualche piccola condizione.
Si sono preparati a questo, si sono pure esercitati e lo hanno fatto nel migliore dei modi, nel 2011 con la Grecia. Ricordate? Il presidente Papandreou ipotizzò l’indizione di un referendum consultivo per chiedere ai cittadini l’accettazione di nuovi sacrifici, con l’implicita alternativa di dichiarare la bancarotta e uscire dall’euro. Venne “richiamato” dai Commissari europei e due giorni dopo si dimise (molto spontaneamente). Così i greci furono costretti a pagare il “privilegio” di stare nell’euro a tutti i costi (“costi quello che costi”, come disse Draghi nel 2012) e ancora oggi stanno pagando.
In questo quadro, pandemia e crisi in Ucraina sono tutte occasioni per far continuare la crisi economica (con chiusure forzate per la pandemia e con le sanzioni alla Russia che finiscono per danneggiare le imprese locali). L’ho già detto e lo ripeto, le banche centrali si sono chiuse in un vicolo senza via d’uscita poiché hanno costruito un sistema finanziario che prevede continue immissioni di liquidità. Fino allo scoppio della crisi, dovuta a un’inflazione fuori controllo. La “controlleranno” mettendo in crisi l’economia reale, per salvare la finanza e le banche.
Per loro è una formula semplice: se sale l’inflazione si rovina il valore del capitale, quindi questo è quello che eviteranno a ogni costo; se si stampa moneta si deprezza il lavoro e tanto peggio per il lavoro e questo è quello che hanno fatto e che continuano a fare. Solo lo fanno con una precauzione: la moneta stampata non deve finire nell’economia reale, perché sennò sale l’inflazione.
Intanto continuano a uscire dati e indicatori che mostrano un’economia in contino deterioramento. La fiducia dei consumatori nell’Ue è peggiorata di 18,7 punti a marzo, dopo una discesa di 8,8 punti a febbraio (prima della guerra in Ucraina). E sempre a febbraio l’indice dei prezzi alla produzione (PPI) in Germania è salito del 25,9% rispetto a un anno prima. Ma se i prezzi per chi produce salgono a questi ritmi, cosa può accadere? Di fatto due cose: o le aziende smettono di produrre (perché con costi così alti non c’è margine per il profitto) o semplicemente ricaricano i maggiori costi sui loro clienti e alla fine sul consumatore.
Nessuno parla di queste cose, nessun politico mette in rilievo questi problemi e nessun Governo cerca soluzioni. La distruzione dell’economia sarà il prossimo inevitabile passaggio.
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