C’è una frase che è (quasi) passata alla storia: “questo lo dice lei” ed è stata pronunciata in un talk show dal sottosegretario all’Economia, Laura Castelli, in risposta alla spiegazione dall’ex-ministro all’Economia, Pier Carlo Padoan, degli effetti della crescita dello spread. “Questo lo dice lei”, come dire che la realtà è opinabile, che la logica e la razionalità sono elementi del tutto soggettivi, che è irrilevante il fatto che chi ha fornito la spiegazione è docente di economia in una delle più prestigiose università italiane.



Quel piccolo episodio è la punta di un iceberg, la parte emersa in modo clamoroso, della realtà disarmante di una situazione politica e sociale in cui dominano non solo l’ignoranza, ma anche l’approssimazione, la superficialità, il luogo comune, il disprezzo per la cultura della competenza.

Abbiamo parlamentari scelti dalle segreterie dei partiti solo in base alla fedeltà al “capo”, avevamo ministri e sottosegretari scelti solo per la loro appartenenza politica, abbiamo una struttura burocratica in cui promozioni e scatti di stipendio non dipendono dal merito e dall’efficacia dell’impegno, abbiamo una scuola costruita su misura sulle esigenze non degli allievi, ma dei docenti (e dei sindacati che li difendono).



“In Italia vige la dittatura dell’ignoranza”. Sono le prime parole del libro “Sotto il segno dell’ignoranza” (Ed. Egea, pagg. 184, € 22) che Paolo Iacci, grande esperto della gestione delle risorse umane, ha dedicato a questo tema. “Questa – continua Iacci – è la nuova questione morale del Paese. La classe dirigente ha da tempo abdicato a favore di una orda di incompetenti che stanno occupando i posti di potere e che si approfittano della volontà di cambiamento diffusa nel Paese per occupare indegnamente i principali posti di responsabilità”.



Un giudizio storico? Una realtà ormai superata dalla rivoluzione di Mario Draghi? Una lettura forzata dei problemi dell’Italia? In realtà, leggendo il libro di Iacci gli esempi sono tali, tanti e documentati che la via d’uscita appare ancor difficile e complessa. Anche perché ci sono molti momenti in cui l’ignoranza viene esaltata e la cultura viene umiliata. Iniziando dai luoghi dove si forma l’opinione pubblica, dove si confrontano le idee, dove si costruiscono le scelte personali e sociali. E allora non si può che rilevare come ci sia una progressiva scivolata verso forme sempre più devastanti di dibattito sociale. Iniziando dalla televisione, dove tutto deve diventare spettacolo e i talk show sono le nuove arene dove si combatte a colpi di slogan e di trasgressioni. Proseguendo con i social network dove la logica dell’insulto e del disprezzo sembra accomunare una schiera sempre più grande di quelli che vengono chiamati “i leoni della tastiera”.

E il principio di Peter, secondo cui si viene promossi a sempre più elevati gradi di incompetenza, sembra essere di costante applicazione nella realtà burocratica degli incarichi pubblici. Con i posti di responsabilità spesso assegnati più in una logica di relazioni che non di effettive capacità. La contiguità con la politica diventa così un lasciapassare più che i titoli e l’esperienza. Chi riesce ad affermarsi per propri meriti viene visto con sospetto come componente di una élite che per sua natura si contrappone alla dimensione popolare.

Con un problema in più tuttavia. Perché esiste una maggioranza di persone che fa con passione il proprio dovere, che cerca che dedizione di perseguire il bene comune, che si muove nell’area del volontariato, del non profit, dei servizi sociali. Persone che sono lontane anni luce dalla corruzione e dagli interessi privati o politici. Persone che studiano, insegnano, progettano, investono e creano posti e occasioni di lavoro.

Un problema in più. Perché l’ignoranza dei pochi si sposa con l’arroganza e la protervia. Anche se non manca la speranza perché, come afferma nelle ultime pagine il filosofo Umberto Galimberti in un dialogo con l’autore del libro, “la cultura e l’educazione possono darci la possibilità di ritrovare la nostra umanità”.