Non è la prima volta che Repubblica prova a lanciare il brand “giovane Italia”: con la “g” minuscola e non nella dizione mazziniana con la “i” al posto della “a”. Ma vederlo riproposto a tutta prima pagina nel primo numero del 2020 autorizza a “pensar male”, avrebbe detto Giulio Andreotti. Al quale è già stato accostato più volte Giuseppe Conte: il premier “per caso” che proprio su Repubblica ha appena annunciato di voler “restare in politica” (noterella da addetti ai lavori: non s’è mai visto un capo di governo tenere una conferenza stampa in diretta tv a reti unificate e commentarla/correggerla ventiquattr’ore dopo in un’intervista riservata a un solo quotidiano). Di una “lista Conte” – se non proprio di un trasformistico “Partito di Conte” – si parla apertamente da settimane. E l’insistenza su “giovane Italia” da parte quotidiano diretto da Carlo Verdelli – forse in questo momento il più vicino al “contismo” – finisce per presentare qualche similitudine con la leggendaria campagna “Fozza Itaia”: il test in grande stile – allora in formato poster pubblicitario 6×3 – che Silvio Berlusconi condusse nel 1993, quando stava già concependo il partito con cui l’anno dopo stravinse le sue elezioni d’esordio.



Come Mario Monti sette anni fa anche l’attuale premier “del Presidente” sembra in ogni caso deciso a cimentarsi per la prima volta con la democrazia elettorale. E come il premier tecnocratico dell’austerity, anche Conte dovrà proporre in fretta un nome utile a richiamare costituency scontente di fronte all’offerta corrente di rappresentanza parlamentare.



Monti optò per “Scelta Civica”, logo di sobrio understatement, “in loden” come era il suo leader: certamente “politico per caso”, forse al di là della sua stessa volontà. Il montismo di Scelta Civica è già agli annali della politica italiana come caso di insuccesso (glielo ha contestato poco tempo fa perfino il Corriere della Sera). È un giudizio in fondo ingeneroso: il partito di Monti ha raccolto nel 2013 un sostanzioso 10% che è già, virtualmente, l’asticella della “doppia cifra” con cui una “lista Conte” dovrà misurarsi. Quei voti contribuirono alla nascita del governo Letta, assieme al prestito-soccorso di un pugno di senatori berlusconiani capeggiati da Denis Verdini. Scelta Civica ha finito poi per “restituire” al Pd un grosso segmento di voti centristi che la discesa in campo di Monti aveva sottratto proprio al Pd. Il brand, nello specifico, ha fatto comunque la sua parte: ha chiamato voti assortiti (del ceto medio produttivo come di quello intellettuale, laico o cattolico, al Nord come a Roma e nel Sud) a “scegliere” di non votare più Pd o Forza Italia, a favore di un tentativo “civico” in quanto programmaticamente votato alla ricerca di nuove forme di tutela degli interessi collettivi.



L’”operazione Conte” presenta più di un’analogia, anche se in un quadro più complesso. Nelle attese apparenti dovrebbe drenare voti a M5s, che ha inventato Conte dal nulla e lo ha sostenuto nel governo gialloverde e poi (meno) nel ribaltone giallorosso favorito dal Quirinale. L’obiettivo sembra quello di mantenere al voto l’attuale maggioranza “anti-Lega”, ricomponendola all’interno: con meno M5s, Conte in più e possibilmente più Pd, assieme alla tendenziale re-incorporazione in un “fronte democratico” di cespugli come Leu, +Europa, Azione.

L’incognita principale è che, a inizio 2020, il mercato elettorale reale è già cambiato rispetto alla composizione del Parlamento del marzo 2018. Le ultime elezioni europee e tutti i sondaggi successivi hanno confermato che metà dell’elettorato M5s è giù rifluito in gran parte verso Lega e FdI. La sfida di Conte si presenta quindi molto ardua: i voti – in parte gli stessi dell’ex “centro montiano” – andrebbero strappati direttamente al centrodestra, cui Berlusconi si professa ancora leale. In caso contrario c’è il rischio che l’iniziativa Conte sia – come quella di Monti – concorrenziale anzitutto con il Pd, laddove il 15% circa attualmente assegnato a M5s non sarebbe facilmente aggredibile nel suo radicamento assistenzial-meridionalista. Può darsi d’altronde che l’obiettivo di Conte e dei suoi sponsor sia quello di creare una classica forza d’interposizione, con un peso minimo per operare su tutti i proverbiali “forni” andreottiani, a destra come a sinistra. Forse anche più di due, forse anche per una “coalizione di salute pubblica” come quella pilotata da Monti (ma anche da Andreotti nella prima repubblica). Coalizioni potenzialmente funzionali anche al riaffaccio in Italia di Mario Draghi.

“Giovane Italia” sarebbe comunque il brand giusto per la lista Conte? In sé ammicca in modo palese ai millennials: anzitutto – in Italia – alle Sardine neonate (o più propriamente “neo-inventate” sulla scia di Conte nella sinistra “diluita” di ispirazione prodiana, molto diffusa nel Terzo settore). Guarda certamente anche al popolo di Fridays-for-future, seguace ambientalista di Greta (ma anche del nuovo europeismo rosa-verde targato von der Leyen/Lagarde). Punta, sulla carta, pure sull’antagonismo grillino deluso da Luigi Di Maio: o per i posti di lavoro non creati o per la rapida adesione dei neo-notabili M5s ai riti più prosaici del partitismo. Potrebbe attirare il Nuovo Partito dei Cattolici il logo dell’antico risorgimentalismo laico? Sarà interessante, nel caso, sentire il parere dello storico Andrea Riccardi, leader della Comunità di Sant’Egidio e co-fondatore in pectore del partito che dovrebbe vedere la luce fra due mesi ad Assisi in occasione di “The Economy of Francesco”. Che poi sotto una simile insegna si possano ritrovare – forse – leader in manovra come Carlo Calenda, Beppe Sala o Mara Carfagna – o senatori a vita “mattarelliani” come lo stesso Monti o Liliana Segre – lo si potrà capire solo col tempo. La questione del logo non sarà certo decisiva. Ma neppure marginale.