Alla morte di Barbara Balzerani alcuni importanti siti d’informazione hanno riservato ieri sera la breaking d’apertura. Per molti giornalisti, politici e intellettuali di una certa generazione (quella degli anni di piombo) la brigatista rossa romana è rimasta fino alla fine un’icona. Una “compagna che aveva sbagliato” ma in fondo una “valorosa combattente”: circondata per di più dall’aureola di “mai pentita”, nonostante avesse partecipato all’evento-picco del terrorismo rosso: il rapimento omicida di Aldo Moro. E non solo: la “brigatista Sara” prese poi parte anche al sequestro di James Lee Dozier, generale della Nato.



L’Italia democratica di allora – ben più giovane di quella odierna – mostrò una forza politico-sociale sufficiente per resistere al terrorismo, di ogni colore. Per stroncare le Br fu però necessario l’impegno – e il sacrificio personale – di un generale dei carabinieri come Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il quale, più di quarant’anni fa, usò certamente mezzi ben più forti dei “manganelli di Pisa”. Ma a Dalla Chiesa, in un contesto difficilissimo, erano state date direttive chiare: così come, è impossibile dubitarne, sono state chiare nelle scorse settimane le direttive alle forze dell’ordine in una cornice di forte recrudescenza dell’antisemitismo (che per lo Stato italiano è assolutamente intollerabile) e di rischi d’infiltrazione eversiva e malavitosa nelle manifestazioni di “dissenso democratico”.



Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ritenuto comunque suo dovere tutelare le libertà assolute di pensiero, parola e riunione pubblica sancite dalla Costituzione. E il suo “altolà” alle forze dell’ordine – nella loro azione di garanzia dell’ordine pubblico di fronte alle libere manifestazioni degli studenti anti-israeliani – è suonato tanto più coraggioso in quanto pronunciato da chi vide il fratello assassinato dalla mafia che due anni dopo trucidò Dalla Chiesa assieme alla moglie. Perché la storia delle Br e di altre forze eversive nazionali ha finito per intrecciarsi fatalmente con quella della criminalità organizzata e di altri terrorismi internazionali. Dieci anni dopo la fine delle Br storiche, la mafia fece politica in proprio uccidendo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e seminando poi di tritolo le grandi città italiane.



Il Quirinale – nel difendere studenti e antagonisti dei centri sociali che sono giunti a contestare apertamente anche la senatrice a vita israelita Liliana Segre – si è assunto una responsabilità civile e istituzionale di estremo impegno: quella di considerare l’Italia 75enne – nella sua costituzione repubblicana – matura abbastanza per fermare per tempo altre “brigatiste Sara”. Senza ricorrere ad alcun “manganello”. E senza più chiedere a un generale dei carabinieri di perdere la sua vita (per mano mafiosa) perché una giovane laureata in filosofia di nome Barbara Balzerani aveva spinto troppo oltre la sua interpretazione della libertà di dissenso.

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