Ha fatto molto discutere e continua a far discutere il reportage su Napoli firmato per Le Figaro da Valèrie Segond, una brava e scrupolosa collega per chi la conosce. Nelle chat e sui social, in particolare, si è scatenata l’indignazione di chi non accetta di vedere dipinta la propria città come un’espressione da terzo mondo con molti più difetti che pregi da esibire.
E in effetti la giornalista francese è andata giù pesante con la descrizione delle cose che non vanno. Ma né più né meno di come potrebbe fare un qualsiasi osservatore non condizionato dall’affetto per i luoghi o da un qualsiasi ruolo di rappresentanza che impone o consiglia una difesa d’ufficio. La Napoli raccontata da Valérie è esattamente la Napoli che conosciamo.
Nessuno può negare che a Bagnoli si sia consumato il più grande fallimento di rigenerazione urbana con un sito tra i più belli al mondo che aspetta da trent’anni la sua destinazione. Gli automobilisti possono apprezzare la chiusura colpevolmente prolungata di una galleria fondamentale per la circolazione e gli utenti della metropolitana più bella del mondo restano troppo spesso a piedi.
Che ci sia la camorra non è una scoperta di questi giorni. E così che la disoccupazione giovanile e femminile sia tra le più alte in Europa e che i percettori del Reddito di cittadinanza siano più numerosi di quelli della Lombardia e del Piemonte messi insieme. Il Comune in dissesto non fa più notizia, l’inefficienza della burocrazia è risaputa, la qualità media della classe dirigente lascia a desiderare.
Detto questo Napoli è anche la metropoli forse più vivace in assoluto dal punto di vista culturale – e chissà che tanti ostacoli non eccitino le facoltà creative – con punte di eccellenza assolute nel campo della scrittura, della musica, del cinema e del teatro. Anche la squadra di calcio in verità non sta sfigurando e tutto sommato stiamo parlando della patria elettiva di Maradona.
Poi, e la corrispondente del Figaro non lo nasconde, a San Giovanni sorge il polo universitario che ospita l’accademia della Apple e ci sono numerose testimonianze di un’intelligenza imprenditoriale e professionale diffusa che stenta tuttavia a diventare sistema per l’incapacità degli attori – e questo lo aggiungiamo noi – di remare tutti nella stessa direzione ciascuno pensando di essere il più bravo.
Tra tanto scetticismo e rassegnazione – cos’altro può impedire di riconoscere un degrado così evidente? – Napoli esprime anche esempi di rinnovato ottimismo come dimostrano la neonata associazione Est(ra) Moenia per la riqualificazione urbana, start up innovative come Materias e l’impegno costante sul territorio di organizzazioni culturali come Mef e Merita.
La città è fatta così. Non conosce mezze misure. È drammaticamente intrisa di miseria e nobiltà. Ti inorridisce con l’abisso di comportamenti intollerabili e ti stupisce con vette di virtuosismo che non hanno pari. È capace di passare come se nulla fosse dal velleitarismo cosmico di un sindaco come Luigi De Magistris al pragmatismo puntuale del neoeletto Gaetano Manfredi.
La sua bellezza è pari alla sua inaffidabilità. Ti lusinga ti offende. Ti attira e ti respinge. Ti ammalia e ti tradisce regolarmente. Disprezza i vivi e rispetta i morti. Confonde e sovrappone sacro e profano. Non a caso a simboleggiarne la nascita è una sirena, Parthenope, dalla doppia natura umana e animale tra le creature più affascinanti e pericolose che il mito s’incarica di consegnarci.
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