Come saranno reclutati i 60mila “militi” del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia? Da dove verranno, ad esempio, i “volontari” arruolati in Puglia, area ad alta penetrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso? Diventeranno “vigilantes” precari-in-pianta-stabile i sempre più probabili e forse definitivi esuberi dell’Ilva? Potranno diventarli anche migranti “regolarizzati in casa”, già molto numerosi nelle “milizie” dei caporali agricoli? In caso di necessità potranno essere distaccati anche a Milano, in Veneto, in Friuli, nella Provincia di Bolzano? Magari come un tempo accadeva che i reggimenti di stanza in una grande città fossero composti da militari di leva di Regioni molto lontane: più maneggevoli in caso di repressioni di “moti popolari”, si leggeva nei vecchi manuali scolastici.



Sono solo alcune delle domande che sembra almeno lecito – e dovrebbe invece apparire doveroso – porre in una post–democrazia sempre più labile, arbitraria, ormai con seri dubbi di “compliance” costituzionale. Ma sono d’altronde le istituzioni stesse le prime a picconare – o bombardare – la democrazia costituzionale: poco conta se si tratta di un Governo sempre più autoritario o una magistratura palesemente ai limiti dell’eversione. 



Mentre autorevoli costituzionalisti scalpitano per rivedere il decentramento regionale previsto dalla Carta del ’48 e realizzato da 50 anni, la Protezione civile (cioè la Presidenza del Consiglio, retta dall’avvocato foggiano Giuseppe Conte, mai eletto neppure in Puglia) di concerto con il ministro Boccia da Bisceglie (bocciato dagli elettori pugliesi e ripescato) e il presidente dell’Anci, il sindaco di Bari Decaro, hanno pubblicato un bando: un atto amministrativo chissà in forza di quale Dpcm, di quale azione di governo “a braccio” ormai tipico del contismo. E chissà mai se l’istituzione della “Guardia Repubblicana Pugliese” sarà discussa un giorno in Parlamento. 



Chissà se fra i quasi mille parlamentari italiani (senatori a vita compresi) qualcuno ricorda che uno degli atti fondativi della dittatura fascista fu l’istituzione della Milizia Volontaria (sic) per la Sicurezza Nazionale. Erano trascorsi due mesi dalla marcia su Roma e il premier Benito Mussolini – durante le vacanze del Natale 1922 – risolse in fretta un duplice problema. Il primo era “regolarizzare” le migliaia di ex arditi di guerra rifluiti nello squadrismo dei primi Fasci e quindi nell’“esercito” che aveva marciato sulla Capitale e decretato la fine dell’Italia liberale. Furono assunti in pianta stabile dallo Stato: non senza resistenze da parte delle forze armate e dell’ordine regolari. Ma il giovane Mussolini aveva dalla sua il Re: la milizia mussoliniana non nacque per bando amministrativo ma per Regio Decreto di un monarca che per primo aveva chiaro come l’Italia del primo dopoguerra rendeva utile il ritorno di “compagnie di ventura”.

I ranghi della milizia infiltrarono la polizia e contribuirono a creare  l’Ovra (l’apparato spionistico interno ed  estero contro gli oppositori del regime: si trattasse del deputato socialista Giacomo Matteotti assassinato a Roma nel 1924 o dei liberali fratelli Rosselli, uccisi in Francia nel 1937). Nel 1943 la Mvsn si trasformò nella Guardia Nazionale della Repubblica Sociale Italiana: l’efferata milizia pretoriana dell’ultimo Duce. Che quando fu ucciso e appeso in Piazzale Loreto aveva addosso la divisa a brandelli della sua Gnr.