Chi ha letto la notizia sarà rimasto sorpreso: secondo i dati mensili pubblicati venerdì dall’Istat sembra che l’inflazione tendenziale in Italia dopo 9 mesi di crescita sia in diminuzione attestandosi al 6,2% rispetto al 6,4% di marzo. Un raffreddamento dovuto essenzialmente ai prezzi energetici che su base annua da un +50,9% scendono a un +42,4 %, frutto un po’ a scoppio ritardato del contenimento delle accise deciso dal Governo il mese scorso.
Sicuramente c’è stato un calo della benzina rispetto a marzo, ma per il resto è un dato decisamente anomalo su cui mi sembra giusto avanzare qualche perplessità. Gli italiani che si sono mossi negli ultimi weekend per una Pasqua quasi “normale” dopo due anni di pandemia – per esempio – avranno pur notato che una bottiglietta di Coca Cola in un qualsiasi Autogrill è bruscamente passata da 2,80 euro a 3,30 con un aumento ben oltre il 6% annuo, così come un panino alla mortadella è lievitato a 7,9 euro con un balzo di quasi un terzo in pochi mesi. Sono piccolissimi esempi di una realtà che l’Istat forse non percepisce, ma che è evidente a tutti gli italiani che prestano attenzione a questi dettagli.
Guardate i menu dei ristoranti “ritoccati” (dove un euro in più per piatto vuol dire un +5-10%) o le “offerte” dei supermercati, ma anche i parafarmaceutici, gli alimentari, le cose più minute, così come i nuovi listini di auto o macchine utensili che – tra l’altro – sono molto meno disponibili nei depositi a sottolineare ritardi di produzione.
Se un panino autostradale è salito a più di 15.000 vecchie lire (quanto si comprava nel 2001 con quella somma?!) è conferma di come l’inflazione sia una gran brutta bestia, ma anche che per vent’anni sia stata contenuta proprio anche grazie alla nuova valuta europea, dopo la fiammata iniziale dell’euro psicologicamente paragonato alle mille lire.
A fine secolo si studiava il fenomeno della “Economia in stato di inflazione” e i suoi segnali premonitori (tutti confermati in questi mesi) proprio per cercare di uscire da una spirale inflazionista che nel breve termine – ai tempi della lira – serviva di fatto solo a sostenere le esportazioni, ma incideva poi pesantemente su tutto il resto.
Segnali? Non c’è dubbio che subito dopo la pandemia e ancor prima della guerra in Ucraina ci siano stati aumenti all’ingrosso a due cifre, con una tensione sui trasporti e le materie prime causate anche da un effetto speculativo ben avvertibile.
L’Occidente si è scoperto nudo dopo anni di tregua avendo lasciato in mani altrui – soprattutto cinesi – gran parte dei trasporti intercontinentali, ma anche della filiera delle materie prime e dei semiconduttori.
Nello specifico l’inflazione si è poi avvitata in Italia anche per gli effetti distorti di alcune normative che in apparenza sembravano positive. Per rilanciare gli investimenti nell’edilizia “green” si è insistito sulla politica dei “bonus”, ma visto che ciò è avvenuto in un momento di aumento dei prezzi-base, ecco che alcuni servizi sono aumentati a livello proibitivo e i loro effetti cominciano solo ora a scatenarsi sui prezzi di mercato.
Gli sgravi per ristrutturare le facciate degli edifici, per esempio, hanno portato a un aumento fino a 3 volte (300%!) dei costi di affitto dei ponteggi, ma ben oltre il 6% sono comunque saliti tutti i componenti dell’edilizia, mediamente del 20-30%. Quel facile slogan “la caldaia te la cambiamo noi” ha praticamente raddoppiato i loro prezzi, dando vita – aspetto più o meno minimizzato – anche a grosse speculazioni con vere e proprie truffe ai danni dello Stato. Si è parlato di 4 miliardi di truffe legate ai “bonus”, poi sulla vicenda è calato un ovattato silenzio.
Ad aumentare i prezzi di tutta la filiera è poi come sempre “l’effetto annuncio”. In altre parole aumento i prezzi del mio prodotto prima ancora che mi arrivino addosso gli aumenti altrui per salvaguardare comunque il mio profitto. È stato il caso delle compagnie petrolifere con lo scatto dei prezzi dei carburanti alla pompa, anche quando le riserve erano state acquistate prima degli aumenti internazionali.
Va ricordato che una sola categoria di costo non ha subito aumenti visibili, ovvero i salari (e le pensioni) che sono rimasti inchiodati in una situazione che però porterà a breve a rischi sociali non indifferenti. È un momento di grande debolezza sindacale e la presenza del Pd e della sinistra al Governo garantisce tranquillità all’esecutivo, ma il dato è oggettivo e la protesta sarebbe ben motivata. In altri momenti il Paese sarebbe sceso in piazza facendo montare la protesta.
Bloccata a suo tempo la “scala mobile” proprio per contrastare l’aumento in automatico delle retribuzioni e delle pensioni, il potere d’acquisto delle famiglie sta diminuendo in modo concreto e presto se ne vedranno i contraccolpi anche in termini di consumo. Ciò dovrebbe rallentare l’inflazione, ma anche portare a una stagnazione del mercato.
Pur in un sistema di informazioni spesso condizionato dalla politica, leggere che nel primo trimestre del 2022 le vendite di auto sono crollate di oltre un terzo – pur rispetto ai dati certamente non esaltanti di un 2021 e 2020 condizionati dalla pandemia – accende ad esempio un ulteriore segnale di crisi che non può essere sottovalutato.
Gli effetti secondari della guerra non aiutano poi certo la situazione, anche se per la delicatezza del momento politico in pochi sembrano avere il coraggio di ricordarlo.
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