Le nomine per le cariche all’interno dell’Ue andranno ora ratificate nel Parlamento europeo con la bizzarra regola della “maggioranza qualificata”, cioè almeno il 65% dei voti. Una di quelle norme fortemente voluta dalla Germania, per evitare che l’Europarlamento, nel caso in cui una forte minoranza sia in grado di trovare un appoggio esterno, possa approvare qualcosa di sgradito. Un vincolo che, come tante altre situazioni in corso, rischia di tramutarsi in un boomerang, perché con un simile quorum di approvazione (delle cariche) occorre trovare alleati e una sostanziosa minoranza rischia di bloccare i desiderata tedeschi.



Cosa che si è in effetti verificata. A margine del G20 di Osaka in Giappone, Germania, Francia, Olanda e qualche altro Paese si erano accordati per la nomina del socialista olandese Timmermans a capo della Commissione europea. Ma è bastato il no dei paesi del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) insieme all’Italia per far saltare il candidato. Una nomina ovviamente sgradita, perché espressione di un Paese che viene considerato una sorta di paradiso fiscale dentro l’Ue, tanto che tutte le maggiori imprese di livello sovranazionale spostano lì la propria sede per pagare meno tasse. Dopo la clamorosa bocciatura della politica predatoria di poltrone della Germania, persino il Corriere ha dovuto ammettere che l’Italia è diventato l’ago dell’eurobilancia.



Ma è tempo di bilanci soprattutto per la Bce, ricordando bene per quale motivo è stata voluta una moneta unica e una banca centrale svincolata da ogni controllo. L’obiettivo unico della Bce, rimasto identico sulla carta fino a oggi, è la pressione (verso il basso) dell’inflazione, a un valore prossimo e inferiore al 2%. Per questo obiettivo, la Bce fin dalla sua nascita (nel 1998) aveva dichiarato che avrebbe aumentato la massa monetaria (per la precisione l’aggregato monetario M3) del 4,5% all’anno. Il calcolo, sempre sulla carta, era che con una crescita del Pil intorno al 3%, l’inflazione dovesse essere la differenza tra queste due percentuali (4,5-3) e quindi poco inferiore al 2%.



Intanto bisognerebbe dire che è molto criticabile l’ottusa idea che l’inflazione dipenda dalla semplice stampa di moneta (dipende infatti anche dal tasso di disoccupazione e da altri fattori). Ma lasciamo stare la teoria e vediamo i fatti: perché dopo quasi vent’anni di moneta unica abbiamo ormai una solida casistica.

La Bce fin dall’inizio ha aumentato l’aggregato monetario di cifre superiori al 6% ogni anno, fino al folle 12,4% del 2007, l’anno dello scoppio della crisi dei mutui subprime Usa che provocò il crollo dei valori azionari di tutte le maggiori banche a livello mondiale. In tutti quegli anni la Bce, insieme alla Fed, aveva sostanzialmente provocato l’afflusso di enormi quantità di liquidità nei mercati finanziari. Con lo scoppio della crisi, invece di mettere dei paletti al sistema bancario, ha fornito alle banche liquidità pressoché illimitata, ingigantendo così il problema invece di risolverlo. Il tutto è durato fino a oggi (alla fine di ogni piano di Qe, di fatto ne è iniziato un altro), senza peraltro evitare il fallimento di tanti istituti bancari. E tanti altri ancora oggi continuano a trovarsi in grosse difficoltà. E così la zona Euro è diventato un posto molto spiacevole dove esercitare l’attività bancaria. La Bce, violando le regole che si era data, ha creato il problema e ha ingigantito i problemi di un’unione monetaria facendo nel contempo sparire i presunti vantaggi.

Ma a questo quadro occorre aggiungere un altro tassello fondamentale. Infatti, un principio cardine dell’architettura della zona Euro è il divieto assunto a dogma per ogni banca centrale di poter comprare direttamente i titoli di Stato del proprio Paese. Qui il criterio guida è stato quello di indurre gli Stati a politiche di bilancio virtuose, prodotte dal fatto che i prezzi dei titoli di Stato sarebbero stati decisi dal “libero mercato” e non dalla disponibilità all’acquisto delle proprie banche centrali.

Anche qui sorvolo sugli effetti nefasti di quelle politiche di bilancio (diventate di fatto politiche di austerità) sul lavoro e sulla crescita dell’economia reale. Guardiamo di nuovo i fatti: con lo scoppio della crisi la Bce, per evitare il dissolvimento dell’euro, è stata costretta a comprare ingenti quantità di titoli di Stato, in clamorosa violazione delle norme che la stessa si era data. Nonostante ciò, i problemi non sono finiti, le differenze tra gli Stati sono rimaste e l’esistenza dello spread è la manifestazione più clamorosa di questo fallimento della Bce. Ancora una volta la Bce ha violato i dogmi che la stessa si era data e ha fallito l’obiettivo, i problemi ci sono ancora oggi. La stessa esistenza di saldi interbancari (il Target2) tanto ampi (la Germania appare creditrice di quasi mille miliardi) è la ratifica di questo fallimento. In Germania è accesa la discussione tra gli economisti su come appianare questo sbilancio, ma nessuno di fatto ha trovato una soluzione.

La violazione di queste macro regole ha portato progressivamente alla violazione di ogni altra regola e quindi a una condizione di forte conflittualità politica tra gli stati, per cui governi politicamente distanti sono stati osteggiati e a volte addirittura vilipesi. L’ultimo esempio in ordine di tempo è stato quello della procedura di infrazione contro l’Italia per deficit eccessivo. Una questione assolutamente pretestuosa, poiché da quando è scoppiata la crisi l’Italia ha aumentato in modo modesto il proprio debito (operando in modo virtuoso), mentre altri paesi facendo deficit fuori le regole (e senza infrazioni) lo hanno pesantemente aumentato. Inoltre, l’Italia da quasi trent’anni ha una bilancia commerciale sempre positiva, rendendo ogni ipotesi di default destituita di fondamento e i titoli di Stato largamente appetibili (alle aste italiane la domanda è spesso il doppio dell’offerta), mentre quelli tedeschi spesso rimangono invenduti.

Con tutte le violazioni delle regole accadute in questi anni, un’applicazione delle regole in modo così rigido nel nostro caso non aveva alcun senso. O meglio, a tutti è diventato chiaro che il senso era squisitamente politico, quello di tentare di mettere in difficoltà un Governo politicamente sgradito. Ora che la procedura di infrazione contro l’Italia (da parte di burocrati europei giunti al capolinea del loro mandato) è stata archiviata, la strumentalizzazione politica è diventata palese.

Quello che invece non è chiaro è cosa ce ne possiamo fare di un’Europa di burocrati che dettano legge e che con le loro scriteriate azioni possono essere solo di ostacolo. Un’Europa divisa su tutto e che non conta più niente. A Osaka l’Ue ha deciso di accettare un trattato di libero scambio con il Mercosur, cioè i paesi dell’America del Sud, forti esportatori di carne e cereali. Ma appena tornato in patria Macron ha chiarito che il patto non sarà sottoscritto dai francesi, finché non ne saranno chiari i contorni. Macron tenta di difendere la produzione di carne francese e il patto con il Mercosur è già carta straccia.

Piccola postilla. La francese Lagarde dovrebbe essere il nuovo governatore della Bce. Una con la fedina penale sporca con sentenza definitiva riguardo una sua “negligenza” quando era Ministro con il governo Sarkozy. Andiamo bene.