Non c’è solo la questione spinosissima dei commissari designati a dividere e a mettere a rischio l’unità dell’Europa. Nelle scorse ore a Rio de Janeiro al G20 si è discusso anche dell’accordo Ue-Mercosur che aspetta da quasi cinque anni la ratifica, dopo che era stato trovato un accordo nel 2019. Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha affermato che l’accordo “deve essere finalmente completato: dopo più di vent’anni (di negoziati) dobbiamo ora finalmente finalizzarlo, questa situazione è andata avanti per troppo tempo, per com’è stata negoziata. Non è un buon esempio, abbiamo bisogno di più accordi di libero scambio. Il mondo sta cambiando”.
Bruxelles vorrebbe firmare entro fine anno, ma Parigi si oppone. E non è solo la Francia a frenare: via via diversi Paesi hanno avanzato una serie di critiche, anche radicali, dalla Polonia all’Italia, Paese in cui si sono mosse le principali organizzazioni rappresentative del settore agricolo. Il mese scorso Coldiretti ha indicato alla Premier Giorgia Meloni che l’accordo “se firmato nella sua forma attuale, avrebbe effetti devastanti sull’intero settore agroalimentare europeo e italiano” e che “nell’area Mercosur vigono norme molto meno stringenti che nella Ue sull’uso dei pesticidi e sulle tecniche di produzione, basti pensare che il Brasile ha quadruplicato il consumo di pesticidi negli ultimi vent’anni”.
Macron è da sempre in prima linea nel rifiutare la ratifica di un accordo che reputa sbagliato e dannoso per l’agricoltura francese ed europea, già messa a dura prova delle eurofollie green, partorite dall’ex Commissario Frans Timmermans. Il Presidente francese ha proposto quindi l’elaborazione di un nuovo accordo commerciale tra l’Unione europea e il blocco sudamericano del Mercosur che “sia sostenibile dal punto di vista dello sviluppo, del clima e della biodiversità”, definendo di fronte al Presidente brasiliano in un recente forum Francia-Brasile pessima l’attuale intesa raggiunta. Ma la questione non si limita al mero accordo tra settori agricoli, perché apre chiaramente il mercato sudamericano, assai ambito (per esempio, dal settore automotive) dalle aziende europee. Stiamo parlando di un mercato di quasi 780 milioni di persone e con 120 miliardi di euro circa di scambi di beni e servizi all’anno.
Ma al di là delle questioni tecniche legate a un accordo che comunque, anche alla luce del successo di Trump negli Usa e del suo probabile isolazionismo, si rende ancora più necessario, quello che emerge è la sostanziale divisione che l’Europa continua ad avere su questioni di importanza strategica. La Germania gioca la sua partita spingendo per la chiusura in tempi stretti dell’accordo, spalleggiata in questo caso dalla Spagna (che ha tutto l’interesse che si chiuda un accordo con un mercato come quello sudamericano dove per tradizione, storia e lingua, ha evidenti interessi in campo), mentre Francia Italia, Belgio, Olanda e Irlanda sono per una revisione dell’accordo che vada incontro a quelle che sono le richieste del mondo agricolo.
Ma intorno all’accordo sul Mercosur si gioca anche la delicata partita delle materie prime critiche, vero e proprio discrimine della nuova influenza geopolitica mondiale. Tra Bolivia, Cile e Argentina si trova il 60% delle riserve mondiali di litio, un quarto solo in Cile. Il Presidente cileno Gabriel Boric ha avviato la nazionalizzazione dell’industria del litio. Il Messico l’ha già fatto nel 2022 e la Bolivia l’ha addirittura inserita in Costituzione, mentre l’Argentina da tempo mette in atto limitazioni alle esportazioni. Il fatto che la Cina da tempo, dopo avere colonizzato l’Africa, abbia adesso rivolto il suo sguardo interessato proprio verso il ricco mercato sudamericano, non solo per le ricchezze del sottosuolo ma anche per i prodotti agricoli, pone l’Europa ancora una volta di fronte a un bivio, dove rischia di rimanere ancora una volta scottata e ai margini, come accaduto appunto in Africa a causa della mancanza di quella politica industriale comune così come quella estera, che rafforzerebbe certamente il peso contrattuale del Vecchio continente.
Come spesso accaduto in passato, si parla tanto di Europa unita, soprattutto a sinistra, ma poi a prevalere sono sempre gli interessi di parte di ogni singola nazione.
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