Negli ultimi anni e ancora di più negli ultimi mesi e settimane si è consolidata una visione secondo cui l’Italia sarebbe lo Stato ribelle all’interno di un’unione dove altrimenti tutto fila liscio e in perfetta armonia. L’Italia, in sostanza, sarebbe il Paese che rompe l’armonia dell’Europa e, rifiutando la politica economica tedesca e dell’unione, per incapacità o strategia, mina se stessa e l’unione. La realtà è diversa. Prendiamo spunto dai disordini dei “gilet gialli” iniziati alla fine del 2018 e coincisi con il primo anno di deficit su Pil sotto il 3% dopo dieci anni di deficit che sono stati sopra il 5% anche per lunghe fasi.
Ciò che si vede “da fuori” l’Europa è un’unione in cui anche la Francia fatica enormemente dentro l’attuale politica economica europea e dentro il suo assetto attuale. Quello che preoccupa è che tutte le proposte sostanziali di riforma della costruzione europea portate da Macron siano rimaste lettera morta. Ciò preoccupa anche per gli effetti sulla politica interna francese di questo fallimento. È come se Macron avesse ottenuto un mandato per “negoziare” un’Europa strutturalmente diversa e più a misura di Francia e fosse stato respinto.
I problemi della Francia non sono quelli della Germania, che deve difendere un surplus commerciale interno ed esterno che non sono un problema per la Francia che si presenta molto più “pulita” sui tavoli che contano e molto meno “colpevole” agli occhi degli Stati Uniti. Il surplus commerciale tedesco interno all’Europa e l’assenza di meccanismi che puniscono “automaticamente” uno squilibrio che oggettivamente apre fratture dentro l’Europa non è un problema solo “italiano”. La Francia “si trova male” in una unione basata sull’austerity e su politiche economiche procicliche e in cui il mercato interno è stato “sacrificato” sull’altare delle esportazioni che sono in primo luogo tedesche. Più austerity significa svalutazione interna e valuta bassa per salvaguardare la competitività sui mercati esteri. La Francia si trova male e assieme a lei mezzo continente solo che la Francia è un grande Paese che non è abituato “all’austerity” con tutto quello che comporta.
Gli Stati Uniti sanno benissimo chi comanda in Europa e sanno benissimo che nessun Governo “nazionale” ha la forza di opporsi alle istituzioni europee e alla Bce e a chi le controlla. Per colpire la Germania bisogna colpire l’Europa e viceversa facendo in questo modo esplodere tutte le contraddizioni del progetto e dell’attuale assetto. Contraddizioni che però ci sono già e sono visibili a tutti e costituiscono il punto debole di un continente che avendo ammazzato il mercato interno, o buona parte, dopo la crisi Lehman oggi si trova a dipendere dalle esportazioni in un mondo che però è diventato “protezionista”.
Quello che ci si chiede è come la Germania intende superare e risolvere questi problemi. Il problema di un mondo in cui avere surplus commerciali molto alti non è più possibile e in cui torna utile essere parte di un blocco più grande e, quindi, con più forza contrattuale come l’Europa. Senza la Francia e il resto dell’Europa la Germania sarebbe “sola” con il suo surplus commerciale e senza l’euro. D’altra parte per mantenere in vita questo sistema europeo e perpetuarlo si aprono fratture tremende tra stati le cui performance economiche si divaricano perché nessuno è in grado di sanzionare le violazioni della Germania mentre è facilissimo sanzionare quelle dell’Italia al punto che si possono sostituire i governi con tre mesi di “spread”.
Il futuro dell’Europa si gioca sulla risposta che darà la Germania a queste sfide e nella sua disponibilità o meno a cambiare, almeno in parte ma sostanzialmente, l’attuale politica economica europea. Se la Germania si rifiuta di “farsi carico” di questi cambiamenti in parte “pagando per gli altri” e pagando il costo di un mercato e di una valuta comune che finora non è stata chiamata a pagare, da regole costruite male, la conclusione sarà o la frattura dell’euro o la colonizzazione dell’Europa mediterranea in cui rischia di finire, però, anche la Francia.
Tutti guardano l’Italia e i suoi “rivolgimenti”, ma la vera domanda è cosa farà la Germania dell’“Unione Europea” adesso che non è più possibile o è molto più difficile condurla come è stato fatto negli ultimi 20 anni. Dobbiamo, giustamente, chiederci se le richieste italiane sono opportune, serie e affidabili, ma dobbiamo ancora di più chiederci cosa vuole fare “da grande” la Germania.