Nel Governo c’è chi pensa che le tasse siano un buona soluzione per risolvere i problemi. Problema dell’inquinamento causato dalla plastica? Arriva un’ecotassa sull’invenzione di Giulio Natta. Il governo Conte-2 che l’ha approvata “salvo intese” nella Legge di bilancio prossimamente all’esame in Parlamento, si appella alla direttiva europea che impone entro il 2026 la progressiva sostituzione della plastica con materiali biodegradabili per una serie di oggetti monouso dai cotton-fioc ai contenitori per cibo. Se l’obiettivo ambientale è sacrosanto, meno credibile invece l’uso di un’imposta per “aiutare le aziende a riconvertirsi dal punto di vista tecnologico verso la plastica ecosostenibile”, come ha avuto modo di sostenere il viceministro dell’Economia Antonio Misiani. Premesso che l’attesa plastic tax nazionale di un euro al chilo graverà sugli imballaggi non sono ancora chiari i criteri discriminanti. I blister dei farmaci sì o no? Le bottiglie derivanti da materia prima riciclate saranno colpite lo stesso? C’è da sapere che il 15% della plastica utilizzata proviene da economia circolare.
Se l’intento fosse genuinamente il raggiungimento di un output positivo per l’ambiente sostituendo un bene nocivo con un altro meno impattante, più che penalizzare un comportamento, sarebbe più efficace incentivare l’innovazione tecnologica per creare un’alternativa sostenibile: dai packaging biodegradabili agli impianti di riciclo. Tirare in ballo la tassa sulla plastica come contributo all’ambiente sa di forzatura. Per la raccolta e riciclo degli imballaggi in plastica le aziende già concorrono versando al Conai (consorzio nazionale imballaggi) dai 15 ai 36,9 cent (da gennaio 54,6 cent) al chilo a seconda della complessità del materiale da smaltire. Dei 450 milioni di euro raccolti annualmente 350 vengono versati ai Comuni per garantire la raccolta differenziata. La plastic tax non andrebbe a promuovere alcuna specifica pratica di sostenibilità ambientale, ma servirebbe solo a racimolare soldi da spendere su altri capitoli della spesa pubblica.
Se è di dubbia sostenibilità ambientale, certa la sua insostenibilità dal punto di vista dell’economia reale. Con un’incidenza superiore al 100% sul costo della materia prima, la plastic tax mette in ginocchio una filiera produttiva (produzione, trasformazione, macchinari e riciclo) costituita da 11.600 aziende, 180mila addetti e 40 miliardi di fatturato e, in generale, mette in crisi la competitività dei prodotti nazionali ai quali toccherà pagare la plastica il doppio dei loro concorrenti. In definitiva, l’effetto perverso di questa sedicente tassa di scopo sarà a conti fatti, di portare meno entrate nelle casse statali per effetto dei fallimenti, chiusure di imprese e perdita di reddito per i lavoratori licenziati.
La tassa sullo zucchero, che ciclicamente appare e scompare dalle manovre finanziaria, è un altro esempio dell’uso distorto della leva fiscale che vorrebbe penalizzare i comportamenti ma invece penalizza i prodotti. Colpendo le bevande gassate e merendine a elevato contenuto di zucchero la tassa intende contrastare l’eccesso di zuccheri che gli italiani assumono ogni giorno in quantità mediamente doppia rispetto a quanto consigliato dall’Oms. Basta una lattina di soft drink per superare la dose consigliata. L’Italia registra anche il primato europeo di bambini e adolescenti sovrappeso (35%).
Anche in questo caso le intenzioni dello Stato educatore sono lodevoli, ma la strategia non convince. Non vi è evidenza che gli introiti servirebbero a correggere quelle esternalità indesiderate destinandoli, per esempio, a un vasto programma di educazione alimentare, a progetti di miglioramento delle mense scolastiche, a programmi di prevenzione a vantaggio di tutto il sistema sanitario. Per giunta, l’esperienza internazionale su questo tipo di tasse insegna che il consumo non si riduce, ma piuttosto si sposta verso prodotti con livello di prezzo più basso e di qualità inferiore.
Praticamente nessun beneficio in termini di cambiamenti comportamentali, ma invece un impatto sull’industria alimentare italiana. Questa si adeguerà con la sostituzione degli zuccheri con altre sostanze edulcoranti non consigliabili a tutti. Negli Usa, dove in alcuni Stati è la tassa in vigore dal 2014, i ricavi della Coca-Cola sono aumentati trainati dalla crescita delle bibite con dolcificante. Quindi non c’è nessuna logica, nemmeno punitiva, nella tassa sulle merendine o sulle bevande zuccherate, sono solo imposte casuali sui consumi.
Con la scusa di neutralizzare l’aumento dell’Iva, s’introducono dei balzelli che sono una specie di Iva occulta.