Caro direttore,

quando il premier britannico Boris Johnson ha elogiato pubblicamente la sanità italiana, sulla homepage globale del Financial Times era appena stato pubblicato in evidenza un reportage-inchiesta curato da Paolo Donato Mancini, inviato del quotidiano a Vo? Euganeo, e da Clive Cookson, Science Editor presso il quartier generale londinese di FT. “Il test a tappeto aiuta una città italiana a tagliare i nuovi casi di coronavirus – L’esperimento di Vo’ rafforza l’invito dell’Oms a “testare, testare, testare””.



L’articolo cita a lungo Andrea Crisanti, infettivologo dell’Imperial College di Londra, che si è trovato in anno sabbatico presso l’Università di Padova quando l’epidemia è scoppiata in Italia e ha mietuto la “vittima 1” proprio nella cittadina ai piedi dei Colli Euganei. Era sabato 22 febbraio. “Testing and restesting” – ha detto Crisanti a FT – “il Vo’ Approach ha consentito alle autorità sanitarie di dichiarare terminata dopo tre settimane l’emergenza sanitaria per i 3.300 abitanti della cittadina”.



Decisiva è stata l’individuazione tempestiva di tutti i casi “sommersi”, mentre l’eredità più importante del “laboratorio sul campo” a sud di Padova è un film epidemiologico completo sul coronavirus in azione in una comunità interamente controllata. Per questo Crisanti e Cookson rilanciano l’invito pressante a seguire il “modello Oms” seguito con risultati effettivi sia nella Corea del Sud che a Taiwan e citano fra virgolette il governatore del Veneto, Luca Zaia: “Vogliamo fare in regione 11mila tamponi al giorno”.

E’ un appello fermo, quello dalle colonne del quotidiano della City, anzitutto al governo britannico, che sta precipitosamente invertendo la controversa linea strategica iniziale imperniata sulla cosiddetta “immunità di gregge”, esattamente opposta al “Vo’ Approach”, anzitutto nel ritenere inutilmente costosa sul piano finanziario (anche se molto onerosa su quello sociale) una politica di test a tappeto e quindi di cura per l’intera popolazione.



Non stupisce che Zaia abbia deciso di insistere su questo percorso. La tabella pubblicata quotidianamente dalla Protezione civile nazionale è di per sé significativa. Il Veneto – che nei primi giorni dell’emergenza era almeno mediaticamente una sorta di “gemello” della Lombardia sul fronte coronavirus – è stato oggi superato dall’Emilia-Romagna. E’ comunque non banale leggere il bollettino quotidiano della Protezione civile completo dell’ultima colonna (“Tamponi”). In Lombardia il 17 marzo per 16.220 casi totali e 1.640 decessi erano stati effettuati 46.449 test. In Emilia-Romagna per 3.931 casi totali e 393 morti, 14.510 test. In Veneto, per 2.704 casi e 88 decessi, 35.478 testi (fra cui quelli a tappeto di Vo’).

“Non porrò vincoli al bilancio”, ha confermato Zaia, che sarebbe in procinto di essere imitato dai colleghi governatori di Emilia-Romagna, Marche, Toscana e probabilmente Campania. Lo stesso sindaco di Milano, Beppe Sala, nel suo messaggio quotidiano su Facebook ha detto di non capire come uno screening di massa non possa essere effettuato almeno per tutto il personale medico.

A non credere all’area bombing di tamponi resta il ministro della Sanità, Roberto Speranza, per il quale “il tampone a tappeto non è decisivo”, secondo quanto gli suggerisce anche il Comitato tecnico scientifico del governo.

Al suo fianco è il suo neo consulente Walter Ricciardi, che proviene dall’Oms e ha dato una sua personale interpretazione del monito dell’agenzia Onu: “Test, test, test non significa far campioni a tutti, ma guarda invece ai pazienti sintomatici nella zona di rischio”. Resta peraltro in molti osservatori il sospetto che la “guerra dei tamponi” (così l’ha ribattezzata Repubblica) sia un nuovo focolaio di crisi politico-finanziaria sulla frontiera fra Governo e Regioni: fra ministero e sanità federale.

Il decreto Cura Italia giunto ieri in Gazzetta punta, ad esempio, risorse prioritarie nell’assunzione di 10mila medici nella sanità pubblica di tutt’Italia, anche non in possesso di esame di Stato. In secondo luogo, al neo-commissario straordinario Domenico Arcuri è stato affidato un budget multimiliardario per la gestione centralizzata degli approvvigionamenti sanitari. Ma se un presidente di Regione chiede di sua iniziativa un milione di kit-tampone (è quanto avrebbe in programma il governatore campano Vincenzo De Luca) Arcuri si limiterà a saldare il conto? Oppure sarà il commissario (già ribattezzato “Consip-2″) a imporre linee-guida nazionali e a gestire attivamente gli stanziamenti, stabilendo ogni dettaglio dell’acquisto e della distribuzione di beni sanitari dalle multinazionali?

In questa cornice sembra assumere sempre più rilievo l'”Ospedale della Fiera”, che non a caso si è conquistato ieri la foto di prima pagina sul Sole 24 Ore. Com’è noto, la Regione Lombardia ha presentato alla Protezione civile un progetto per affrontare l’emergenza dei posti in terapia intensiva nel sistema sanitario regionale (proprio ieri un paziente lombardo è deceduto mentre se ne tentava il trasferimento aereo a Bari). Il progetto prevede fin dall’inizio la costruzione di un ospedale d’emergenza “in stile Wuhan” da 400 posti presso uno dei poli della Fiera di Milano. L’ipotesi è stata respinta dal bunker della Protezione civile: si è detto per l’impossibilità di fornire attrezzature.

Il “no” di Palazzo Chigi è coinciso con un altro passo non trascurabile: la nomina di Arcuri a commissario, scartando il richiamo dell’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Quest’ultimo è stato però immediatamente ripescato come consulente personale all’emergenza dal governatore lombardo Attilio Fontana, che ha avvertito della scelta direttamente il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Bertolaso ha subito aperto il cantiere dell’Ospedale della Fiera e ne ha promesso l’entrata in operatività entro otto giorni. Nel frattempo Fontana ha prospettato un finanziamento privato dell’opera, per la quale ha già annunciato una donazione di 10 milioni di euro Silvio Berlusconi. Tuttavia altri imprenditori lombardi – come il patron di Moncler, Remo Ruffini – hanno già garantito il loro appoggio. Altri magnati milanesi – come gli stilisti Giorgio Armani e Dolce&Gabbana – hanno messo sul tavolo impegni analoghi, senza specificare per ora la destinazione. Gli influencer Fedez e Chiara Ferragni hanno intanto raccolto 3.8 milioni da 191mila donatori attraverso una piattaforma di crowdfunding: i fondi sono già in via di impiego nella costruzione di un padiglione temporaneo di terapia intensiva all’Ospedale San Raffaele di Milano (gruppo San Donato).

A tutte queste donazioni liberali mirate all’emergenza coronavirus, il decreto Cura Italia riconosce un abbattimento straordinario d’imposta del 30%, ma solo fino a 30mila euro di importo. E’ evidente la preoccupazione di frenare il più possibile – anche nel pieno dell’emergenza coronavirus – la creazione di un vero e proprio circuito di fiscalità sussidiaria, e questo da parte di un “governo del Sud” come il Conte-2 che ha deliberatamente escluso dalla sua agenda la concessione di forme di autonomia rafforzata a Veneto, Lombardia (che l’hanno chiesta dopo referendum regionali) ed Emilia-Romagna. Se però – come sembra – l”Ospedale della Fiera” vedrà la luce nei tempi stabiliti, sarà un fatto compiuto: la Regione Lombardia avrà “fatto da sé”, autofinanziando con canali non statali una struttura urgente per il servizio sanitario pubblico e – prevedibilmente – rivolgendosi direttamente al mercato per l’acquisto delle attrezzature.

La questione sembra aprire orizzonti più estesi ancora rispetto al già complesso dossier delle autonomie in Italia. A Milano (già in lizza per l’Agenzia europea del farmaco) e in Lombardia la sanità è un’importante industria d’eccellenza in una fase di trasformazione. L’Ospedale della Fiera può rivelarsi un punto di partenza per il rilancio del “modello lombardo” fondato sulla competizione/cooperazione fra pubblico e privato sotto la regia della Regione.

Certo, in Lombardia nessuno può ancora, come hanno fatto Bill Gates e la moglie Melinda, mettere 50 miliardi di dollari in una fondazione che ha fra i suoi obiettivi principali il miglioramento della qualità della salute nel mondo. E a lui – come a Warren Buffett o a George Soros – il Tesoro americano ha garantito bonus fiscali integrali enormemente superiori a quelli che il governo Conte ha assegnato a chi vuol donare per contrastare il coronavirus. E donerebbe forse di più se non dovesse pagare le tasse al ministro Speranza.

Intanto il ministro Gualtieri pretende il pagamento regolare entro domani di tasse e contributi da ogni impresa con fatturato superiore a due milioni. Magari chiusa già da un paio di settimane e chiusa chissà ancora per quanto.