Chi avesse l’ardire o il piacere di leggere i quotidiani di questi giorni (o ascoltare le cronache della tv) potrebbe accorgersi della distanza siderale che c’è tra le notizie di carattere internazionale e quelle domestiche, includendo tra queste quelle che riguardano l’inebriante vita dell’Unione europea. Ancora di più se stringiamo il campo d’osservazione all’Italia.



Il mondo, dunque, è alle prese con la più singolare delle guerre mondiali fin qui conosciute – combattuta a pezzi, secondo un’efficace espressione di papa Francesco – con due fronti particolarmente caldi come l’israelo-palestinese e il russo-ucraino, un farsi e disfarsi di alleanze strategiche, un concitato accaparramento di materiali rari e metalli preziosi, una spasmodica ricerca di nuovi dominii.



A Gaza, dopo la furiosa e crudele aggressione agli ebrei del 7 ottobre, Hamas trattiene in condizioni di vita drammatiche ancora più di cento ostaggi. E il leader d’Israele, Benjamin Netanyahu, dispera di poterli liberare tutti trattenendosi con difficoltà dall’impulso di fare del nemico una poltiglia. Da una parte lo strazio dei familiari, dall’altra l’orgoglio nazionale e la lotta al terrorismo.

In Ucraina la controffensiva dichiarata da Volodymyr Zelensky non prende corpo. La situazione appare in stallo anche per la difficoltà del suo principale sostenitore, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, di fargli arrivare i soldi e gli armamenti promessi per via della riottosità di un Congresso tenuto in ostaggio da chi preferirebbe dirottare attenzione e risorse su problemi interni.



Intanto il criminale di guerra Vladimir Putin esce dall’isolamento e va a fare visita al Presidente degli Emirati Arabi Mohammed bin Zayed Al Nahyan e al Principe dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman con due tappe ravvicinate, ad Abu Dhabi e Riad, mentre a poca distanza si celebra a Dubai un’inconcludente COP28 sull’ambiente. Quindi riceverà al Cremlino il Presidente iraniano Ebrahim Raisi.

Tutto questo mentre sembrano andare in pezzi gli Accordi di Abramo firmati nel settembre del 2020 da Israele, Emirati Arabi, Bahrain e Stati Uniti (Presidente Donald Trump) per tentare di mettere pace in uno dei luoghi più litigiosi del globo. Un modo per stabilizzare i rapporti diplomatici tra gli aderenti che non dev’essere per niente piaciuto all’ala combattente dei palestinesi.

Nello stesso tempo si rafforza l’asse dei Paesi emergenti con il cartello dei Brics – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica – che apre le porte ad Argentina, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Iran facendo prevedere che presto cambieranno i rapporti di forza tra le tradizionali potenze politiche ed economiche e quelle che si organizzano per contare di più.

In tutte queste faccende l’Europa brilla per la sua assenza. Baluardo democratico per eccellenza, l’Unione potrebbe e dovrebbe fare da spalla – se non da comprimario – a un’America sempre meno desiderosa di togliere dal fuoco le castagne degli altri. Sotto attacco da più punti di vista si sfila correttamente dalla Via della Seta, ma non riesce a impostare un’azione comune.

È invece indaffarata a complicarsi la vita con le regole del Patto di stabilità e crescita (o crescita e stabilità) che sembrano concepite apposta per far litigare le formiche parsimoniose con le allegre cicale. Da una parte chi vuole il rigore a tutti i costi, dall’altra chi chiede flessibilità come l’Italia. Il tutto per il rispetto di parametri che in certe condizioni assumono l’aspetto di feticci.

L’Italia, da par suo, resta impantanata sul terreno per il lavorare il quale spende da settant’anni energie mentali e soldi a palate: il divario tra Nord e Sud che non ne vuole assolutamente sapere di ridursi mentre incombe la promessa/minaccia dell’autonomia differenziata tra le Regioni senza che si riesca a venire a capo dei livelli minimi delle prestazioni da garantire a tutti.

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